Si fa sempre più tesa la situazione tra Serbia e Kosovo dopo il fallimento del vertice tenutosi a Bruxelles tra i rispettivi presidenti per trovare un accordo dopo la crisi innescata dalla decisione delle autorità di Pristina di unificare le targhe delle automobili anche per la minoranza serba che vive nel Paese. Sono scattate le multe a chi ha la targa automobilistica serba e quale sarà la reazione della minoranza serba nessuno lo sa. Lo scorso luglio, quando fu resa nota la decisione, si verificarono incidenti per le strade e scontri con la polizia.
L’Alto rappresentante dell’Unione Europea per la politica estera, Josep Borrell, si è detto molto preoccupato per il fallimento dei negoziati e per qualsiasi escalation e violenza che potrebbe scatenarsi sul campo. Truppe serbe si starebbero già muovendo ai confini tra i due Paesi. Preoccupazione è stata espressa anche dal segretario generale della Nato.
Non è un problema banale, come a molti osservatori disattenti potrebbe sembrare, ci ha spiegato in questa intervista Azra Nuhefendic, giornalista e scrittrice bosniaca che collabora con il quotidiano di Trieste “Il Piccolo”: “il Kosovo è un paese abbandonato nelle mani dell’illegalità, l’Europa negli ultimi anni se ne è dimenticata e la questione delle targhe rappresenta per le autorità del Paese un tentativo di mettere ordine, perché la criminalità usa le macchine con targa serba, che possono passare i confini senza problemi per i propri traffici”. Dietro a tutto c’è la lunga mano di Mosca, ci ha detto ancora “che ha buon gioco a spingere le autorità serbe a creare un caso di conflitto nel cuore dell’Europa per distogliere attenzione e pressione da quanto succede in Ucraina”.
Vista dall’Italia, la questione del cambio delle targhe, per una minoranza che usa in tutto circa 9mila automobili, sembra quasi una cosa ridicola, invece si teme un possibile conflitto. Qual è il vero motivo di questa disposizione decisa dal governo di Pristina?
Il motivo è che le autorità kosovare vogliono velocizzare il ritorno dell’autorità statale, vogliono regolare e mettere a posto il funzionamento dello Stato. Ricordiamo che, da quando si è dichiarato indipendente nel 2008, il Kosovo è riconosciuto ufficialmente solo da 98 dei 193 paesi dell’Onu. Tra i membri del Consiglio di sicurezza è riconosciuto da Stati Uniti, Francia e Regno Unito, mentre Cina e Russia lo considerano ancora una provincia autonoma della Serbia.
Quindi non si tratta di una decisione discriminatoria nei confronti della minoranza serba?
Certamente il cambiamento delle targhe non andava fatto così repentinamente, quasi da un giorno all’altro, ma era importante ristabilire l’autorità centrale del governo. Il Kosovo oggi è una zona grigia, un paese dove la criminalità si permette di agire liberamente, dove esiste traffico illegale di armi, droga e anche esseri umani. Grazie alle targhe serbe si poteva compiere ogni atto fuori della legge, anche perché chi ha targa serba può passare il confine senza controlli. Dietro a questa situazione ci sono le autorità di Belgrado: è in Kosovo che è cominciata la guerra di Jugoslavia, i serbi hanno sempre usato questa regione come arma politica contro tutto quello che dà fastidio alla loro politica nazionalista.
Si può dire che dietro alla protesta della minoranza serba si celi soprattutto la malavita locale?
Sì, la malavita ha paura di perdere la libertà di cui ha goduto in tutti questi anni. Il Kosovo è come la Moldavia e tutti quei piccoli Paesi dove il potere centrale non funziona, dove l’interesse della popolazione è sacrificato a coloro che si arricchiscono in modo illegale.
La criminalità gestisce anche il traffico dei migranti? I Balcani sono una rotta importante per chi arriva dall’Asia e dall’Africa.
No, quello è un problema collaterale: esiste anche il traffico dei migranti, ma non è un problema grave come il traffico di armi e di droga.
Da sempre Serbia e Russia sono alleate. In questo quadro che ruolo gioca Mosca?
La Russia sta soffiando sul fuoco. Utilizza il caso del Kosovo come un precedente per giustificare quello che stanno facendo in Ucraina. Dicono: avete tagliato un pezzo di Serbia per creare un nuovo Paese, perché noi non possiamo farlo con il Donbass?
Josep Borrell si è detto molto preoccupato per il mancato raggiungimento di un accordo fra i due Paesi. C’è il rischio di un conflitto?
L’Ue ha giustamente paura, non si può accettare un’altra guerra in Europa oltre a quella già in atto in Ucraina. Escludo un conflitto vero e proprio, ma sicuramente c’è il rischio di incidenti e violenze. Le poche persone che hanno cambiato la targa si sono viste le loro auto bruciate, per mano della malavita manipolata dai serbi. Le popolazioni kosovara e serba non si odiano, vivono insieme, ma quei pochi fomentatori sono incoraggiati dalla politica di Belgrado. È sempre stato così: quando venne attaccata la Libia, l’Occidente metteva una tribù contro l’altra per creare caos e divisioni.
Ma oggi la Russia, già molto impegnata in Ucraina, che peso ha nei Balcani?
La Russia non è più così forte come prima della guerra in Ucraina, non può permettersi di iniziare un’altra guerra. Ma ha bisogno di creare problemi nella regione, come sta succedendo anche in Bosnia e Montenegro. Mosca cerca di togliere pressione dall’Ucraina, creando problemi all’Occidente, che ha grosse colpe per aver trascurato per anni il Kosovo. Oltre alla Russia, poi, nei Balcani è presente in modo sempre più massiccio anche la Cina, che stringe accordi commerciali che indebitano i Paesi dell’area.
(Paolo Vites)
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