La tensione nel nord del Kosovo, abitato in maggioranza da popolazione di etnia serba, non si allenta, anzi aumenta. Si sono verificati episodi preoccupanti, come il lancio di una granata stordente contro una pattuglia polacca della missione Ue (Eulex) nei pressi del villaggio di Rudare, a pochi chilometri da Nord Mitrovica, la capitale dei serbi kosovari. Il presidente serbo Vucic ha chiesto alla Nato il permesso di inviare truppe nella regione, richiesta ovviamente rifiutata. Si registrano blocchi stradali, il boicottaggio delle elezioni per i sindaci delle quattro municipalità a maggioranza serba, inizialmente indette per il 18 dicembre e rimandate ad aprile del prossimo anno e la denuncia, non confermata, che forze kosovare avrebbero occupato la diga della centrale idroelettrica di Gazivode, che fornisce energia alle regioni meridionali della Serbia ed è di grande importanza strategica sia sotto il profilo militare che economico.



Secondo Azra Nuhefendic, giornalista e scrittrice bosniaca che collabora con il quotidiano di Trieste “Il Piccolo”, “la richiesta di Vucic di inviare truppe serbe in Kosovo era puramente retorica, sapeva benissimo che non sarebbe stata accettata, ma lo ha fatto per mantenere il consenso in patria, mostrando i muscoli”. Belgrado, sempre secondo Nuhefendic, “sta usando la stessa strategia usata trent’anni fa in Croazia, che portò allo scoppio della guerra in Jugoslavia, creando caos e disordini. Ma è una strategia perdente oggi come lo fu allora”.



La tensione nella parte del Kosovo abitata dai serbi rimane alta, tanto che il presidente della Serbia è arrivato a chiedere l’invio di truppe nella regione. Ritiene si possa andare verso un peggioramento della situazione? 

Non credo si possa andare verso un effettivo peggioramento. La richiesta di Vucic di inviare truppe serbe in Kosovo era puramente retorica, sapeva benissimo gli sarebbe stato detto di no, è stata solo funzionale al bisogno di mostrarsi forte con il suo popolo. A lui basta continuare a fomentare quei serbi del Kosovo che gli danno retta, soprattutto i criminali che hanno approfittato di quello stato di limbo in cui si è trovato fino a oggi il Kosovo.



Resta però una situazione in pericoloso bilico. Basterebbe un qualunque incidente per provocare conseguenze gravi?

C’è infatti da domandarsi come mai trent’anni dopo lo scoppio della guerra nella ex Jugoslavia si sia ancora nelle stesse condizioni. I serbi del Kosovo ripetono le stesse azioni che usarono in Croazia, provocando blocchi stradali, proprio come allora, e ciò diede il via alla guerra. Non si capisce il motivo reale di tutto questo. Va detto che in Serbia non tutti la pensano come Vucic, c’è anche una opposizione che però viene accusata di tradimento. C’era un politico poco tempo fa a Belgrado che voleva il dialogo con il Kosovo e guarda caso è stato ucciso. La realtà è che questa politica di scontro non porta a nulla né per i serbi kosovari, né per la Serbia stessa.

Fino a un paio di anni fa sembrava di essere sulla strada del dialogo, erano stati firmati importanti accordi fra i due Paesi. Oggi tutto sta precipitando?

Non tutto, ma molte cose ci fanno tornare indietro nel tempo. Belgrado cerca di frenare quello che è inevitabile: la nascita di un Kosovo realmente indipendente e unito. Le autorità del Kosovo non vogliono si ripeta quello che è accaduto in Bosnia trent’anni fa con la creazione di una repubblica serba artificiale.

Esattamente cosa è successo?

Essendoci una minoranza serba anche in Bosnia, un referendum, a cui parteciparono solo loro, permise la nascita di questa repubblica che ancora oggi prende ordini da Belgrado e dall’ambasciatore russo in Bosnia, esacerbando gli animi e creando divisioni e tensioni.

Per alcuni analisti la Russia non è responsabile di queste tensioni che sarebbero il frutto della politica locale, secondo altri Mosca intende sfruttarle per allontanare i Balcani dall’Unione Europea e dalla Nato. Lei che ne pensa?

È vera la seconda: la Russia non pensa certo a una invasione come in Ucraina, ma alimenta i problemi locali, fomentando il nazionalismo e la criminalità comune per raggiungere i propri scopi. Bisogna dire che la popolazione da trent’anni vota sempre le stesse persone, quelle che ci hanno portato a questa situazione. Si vota seguendo unicamente la propria appartenenza etnica senza pensare al bene comune. Ed è anche colpa dell’Unione Europea.

In che senso?

Nel 1995, dopo quattro anni di genocidio, la Bosnia aveva diritto di essere accolta nella Ue, ma non è ancora così. Questo ha permesso a russi e cinesi di diventare sempre più forti politicamente ed economicamente nei Balcani.

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI