“La quasi totalità dei lavoratori stagionali è privo di occupazione e circa il 50% per cento dei lavoratori a tempo indeterminato è in cassa integrazione. In altri termini, il 75% per cento dei dipendenti delle imprese turistico ricettive e termali è senza lavoro”. Cadeva il Governo Conte secondo, lo scorso 25 gennaio, e l’assemblea straordinaria di Federalberghi, riproponendo i tragici numeri sulla situazione occupazionale del comparto, lanciava un ennesimo allarme all’esecutivo per sollecitare interventi urgenti a tutela delle imprese e dei lavoratori del turismo “prima che sia troppo tardi”. Un quadro a tinte fosche ribadito anche da Lorenzo Bighin, direttore centrale HR e Operations di TH Resorts, che gestisce una trentina di strutture sparse tra le più belle località di vacanza e città in Italia.
Direttore, quali sono i numeri del vostro gruppo?
In linea con la situazione generale descritta. Noi in un anno contiamo circa 2500 dipendenti diretti, oltre ovviamente a quelli innescati nell’indotto, e cioè commercio, escursioni, cooperative di servizi e via dicendo: calcolando anche tutti questi, le cifre triplicano. Poi vanno aggiunti i ragazzi impegnati nell’intrattenimento, altre centinaia di persone. Si arriva così a un monte di oltre cinquemila lavoratori coinvolti.
Lo “zoccolo duro”, i dipendenti a tempo indeterminato, quanti sono?
Sono 180, un centinaio nella sede centrale di Padova e altri 25 in quella di Milano. Gli altri sono i direttori dei resorts, i manutentori e i custodi fissi dei medesimi, strutture che chiaramente necessitano di presenze permanenti, aperte o chiuse che siano.
Bene, oggi tutti costoro lavorano o no?
Purtoppo no, gli impiegati da TH nella stagione invernale sarebbero stati 750. Si è partiti un anno fa con l’interruzione improvvisa, un mese prima del previsto, di una stagione che prometteva dei risultati positivi, poi una stagione estiva di soli 2 mesi contro i 3,5 degli scorsi anni ed ora l’impossibilità di partire per la stagione invernale.
Chi è a casa su quali sussidi può contare?
I lavoratori stagionali godono del sussidio di disoccupazione. Ma con quello non si riesce davvero a vivere. Si tratta di cifre variabili e non costanti, e comunque in calare, basato sui mesi lavorati nei due anni precedenti, il 60-70% nei primi due mesi, poi via via ridotto. Con l’incubo del prossimo anno: se si considereranno i due anni precedenti, si farà calcolo anche sul 2020, quando i mesi di lavoro saranno troppo pochi…
Quindi avete idea di come quei duemila stiano tirando avanti?
Per quanto possibile, abbiamo cercato di non lasciarli mai soli, anche perché non hanno un contratto annuale, ma per il nostro gruppo sono parte della famiglia TH. TH gestisce strutture al mare d’estate e in montagna, sia in estate che in inverno, le stagioni sono due, quindi con ridotti tempi morti tra una stagione e l’altra. Tutto questo ha portato anche i lavoratori stagionali ad un elevato grado di fidelizzazione con il nostro gruppo: penso che questo sia uno dei più grandi punti di forza di TH. Moltissimi di loro arrivano da regioni del sud: in estate lavorano ma vivono a casa loro, in inverno si trasferiscono al nord. Per loro quello con noi è l’unico lavoro, e l’unica fonte di reddito possibile. Si capisce la gravità della crisi.
I rapporti costanti di TH con i dipendenti come si concretizzano?
Soprattutto in tre direzioni. La prima è il master attivato in collaborazione con la SIO, la Scuola italiana di ospitalità del Lido, la stessa che insieme all’Università Ca’ Foscari ha promosso il primo corso di laurea professionalizzante in turismo, che vedrà il via all’anno accademico il prossimo autunno. Al master partecipano settanta tra manager e direttori TH, ed è concentrato sui parametri che dovranno caratterizzare il turismo del prossimo futuro, tra l’altro la qualità dei servizi, la sostenibilità, la formazione degli operatori. Seconda attività sono i webinar, che partiranno a metà febbraio, rivolti a capiservizio e personale stagionale. Ed infine la nostra Academy, per gli uffici centrali e capiservizio: una settimana tutti insieme, in una nostra struttura, in tarda primavera, subito prima del via della stagione estiva, per verificare la formazione singola e collettiva, ribadire gli obiettivi, evidenziare le criticità. Una sorta di raduno, che abbiamo già sperimentato, che vale quale ritiro motivazionale di tutto il team.
Tra gli stagionali, ci sono anche gli “animatori”?
Vanno calcolati a parte. Lavoriamo con due agenzie esterne che mobilitano nei nostri villaggi circa 700 ragazzi ogni anno, già formati in origine, ma poi condotti da noi su parametri precisi di intrattenimento e accoglienza degli ospiti. Negli ultimi tre anni TH ha lavorato moltissimo sul prodotto intrattenimento con programmi dettagliati e una attenta analisi dei risultati, basata soprattutto sui primi giudizi e sulle impressioni finali dei clienti, sulla reputazione, sull’elaborazione delle esperienze. Ovviamente, anche questi ragazzi sono a casa.
E i dipendenti fissi?
Come dicevo, circa 180. Stanno tutti scontando periodi di FIS, il fondo d’integrazione salariale, una particolare tipologia di cassa integrazione messa in essere per fronteggiare l’emergenza Covid, naturalmente senza tredicesima e altre indennità. Abbiamo applicato la misura a rotazione tra i reparti, cercando di mantenere sempre alta l’operatività in quelli che la richiedevano, modulando di conseguenza le presenze. Ma sempre nell’incertezza dei tempi, della durata del FIS, della congruità: ad esempio, lo scorso 26 dicembre non sapevamo ancora se sarebbe stato prorogato o no, prolungamento poi adottato fino al prossimo giugno, quando tutti ci auguriamo potrà non servire più.
Cassa integrazione anche per i manager?
Di fatto, è impossibile. Però i 15 manager del gruppo già dalla scorsa primavera avevano deciso di ridursi lo stipendio per garantire la copertura della parte mancante della cassa integrazione per arrivare almeno all’80% dello stipendio dei lavoratori. E l’azienda aveva deciso di anticipare direttamente il FIS, perché i ritardi nell’erogazione da parte di INPS stavano generando situazioni insostenibili.
Oggi tutti i vostri resorts sono chiusi, anche in montagna, con una stagione mai nemmeno iniziata. E “tempi morti” pericolosamente allungati…
È vero, non abbiamo aperto gli hotel in montagna, vista l’incertezza sul via libera agli impianti di risalita (ancora oggi non è tutto chiaro) e al contrario l’assoluta necessità di programmazione, per un gruppo grande come il nostro. Il presidente ha anche esposto la situazione a tutti i nostri dipendenti, in una videoconferenza con trecento collegati, e tutti hanno concordato sull’impossibilità di restart. Perché è vero che sciando ognuno è ben distanziato dall’altro, ma è anche vero che alle 16.30-17 in montagna tutti fanno rientro in hotel, e lì le distanze non possono in alcun modo essere rispettate. In ogni caso, abbiamo cercato di sfruttare anche questi inattesi, lunghi tempi morti di chiusura.
Come?
Ad esempio con un più articolato recruiting. Stiamo lavorando sulla composizione delle brigate, sulla base di un progetto elaborato dall’ufficio HR che da fine febbraio prevede una accurata selezione del personale in tutta Italia, attraverso una campagna on-line, con una prima fase di “scrematura” e poi gli incontri in presenza. Le risposte sembrano già da subito confortanti. Lo scorso venerdì abbiamo già pubblicizzato la ricerca per due figure particolari, in ambito cucina, per la Sardegna, e in un giorno e mezzo abbiamo ricevuto più di 300 curricola.
Tutte persone in cerca di occupazione e che non hanno timore del contagio…
Ecco, vorrei spendere qualche parola sulla forza dei nostri collaboratori, che lo scorso marzo hanno accompagnato gli ospiti delle strutture fino all’ultimo minuto, prima della chiusura totale, e quando se ne sono tornati a casa sono stati isolati dal sospetto di essere portatori di chissà che. E che la scorsa estate hanno affrontato al meglio i loro incarichi, sempre con l’incubo di trovarsi davanti un possibile caso positivo. Tutti bravissimi. Ed è per questo, per garantire sempre più la loro salute, e di conseguenza anche quella degli ospiti, che approvo completamente la proposta di inserire gli operatori del turismo tra i destinatari primi della vaccinazione, ovviamente dopo i sanitari ed altre categorie esposte.
Per la prossima stagione estiva voi contate anche sui protocolli di sicurezza sanitaria già adottati la scorsa estate e sui tamponi, vero?
Protocolli implementati, e tamponi estesi. Ma ci piacerebbe anche che la quota non utilizzata di quei 2,4 miliardi accantonati per il bonus vacanze, lo scorso anno (è stato impiegato meno di un miliardo), venisse adesso destinata ad una sorta di “bonus tampone”, per aiutare le strutture ricettive ad effettuare lo screening ad ogni ospite, all’arrivo e durante il soggiorno. Sarebbe la misura migliore per garantire una bolla di sicurezza all’intera struttura, motivando le prenotazioni e gli arrivi: una misura facile e concreta, ben diversa da quel complicato disastro del bonus vacanze!
Oltre al bonus tampone, che misure chiederebbe al governo, ad un nuovo governo?
Con la pandemia, noi siamo stati costretti a reinventare di sana pianta il nostro prodotto, rivedendo le modalità di servizio, la fruizione degli spazi comuni, la pulizia degli ambienti e via dicendo. Sarebbe bello, per una volta, che il Covid fosse anche l’occasione che lo Stato rivedesse le politiche fiscali nel nostro comparto. Noi non abbiamo proprietà, ci occupiamo di gestioni, ma se la pandemia è stata una guerra, è una guerra che ha lasciato intatte le strutture, mentre i nostri pacchetti vacanza invece sono andati disintegrati, le spese fisse hanno continuato a correre, e si sono aggiunti i costi supplementari per personale, sanificazioni, dispositivi sanitari. Eppure il nostro gruppo su una perdita di fatturato tra gli 80 e i 100 milioni, ne ha incassati in ristori nemmeno due. Sarebbe bello insomma poter contare non solo su bonus o ristori, ma su una completa revisione del costo del lavoro, attraverso una adeguata defiscalizzazione in un comparto che da solo vale (od ormai valeva) il 14% del pil.
(Alberto Beggiolini)
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