Era stata, la nostra, una previsione fin troppo facile. E infatti la conferma è arrivata subito: la stagione turistica invernale è definitivamente persa. Troppe incertezze, troppe spese a fronte di nessuna ipotesi plausibile di cassa, troppi costi fissi, assoluta penuria di prenotazioni: la maggioranza degli impianti di risalita e degli alberghi non riaprirà nemmeno dopo l’Epifania. “In realtà – dice Valeria Ghezzi, la presidente degli impiantisti Anef – l’unico che può e deve decidere è il governo. Ma governo e CTS non fanno uscire il protocollo… Quindi no regole, no apertura. A prescindere da quest’impasse, per far davvero pressione su questo benedetto protocollo servirebbe che la situazione sanitaria fosse un po’ migliore. E invece…”. Invece niente, si resta nell’incertezza e quindi si prevede una chiusura totale, appesantita da una lunga ombra che arriva a lambire anche la prossima estate.
Si era fissata a metà gennaio la data entro la quale assumere decisioni definitive, ma si era anche voluto agganciare la riapertura delle piste da sci a una diffusione del contagio limitata a poche migliaia di casi al giorno in tutt’Italia, un obiettivo che sembra davvero tanto, troppo lontano. E quindi, se la riapertura degli impianti di risalita non potrà essere affrontata in sicurezza, l’Anef decreterà la fine dell’unica stagione sciistica dal dopoguerra in realtà mai cominciata. Una fine già ufficializzata, ad esempio, in Val Gardena. “Cari clienti ed appassionati di sci – recita un comunicato di Funivie Saslong -, è la seconda e spero l’ultima volta che siamo costretti a dover comunicare un’altra triste notizia, e questo dopo 51 anni di attività nel comparto turistico. Le Funivie Saslong spa di Selva Val Gardena hanno deciso, visto la totale incertezza da parte della politica di prendere una decisione chiara, concreta, logica, risolutiva e soprattutto umana, di non aprire per la stagione 2020/2021”.
L’economia dello sci è insomma azzerata, dispersa nel buco nero che dalla scorsa primavera sta facendo implodere l’intera industria del turismo italiano, un motore che produce il 13% del Pil. L’ultimo appello affinché si vogliano varare misure convincenti di ristoro e rilancio è arrivato dalla galassia delle rappresentanze che ruotano attorno a Confindustria, a partire da Federturismo. In una nota aperta indirizzata al Presidente della Repubblica gli operatori si rivolgono a Mattarella “per chiedere aiuto: il turismo non può restare fuori dalle priorità dell’Italia, non può continuare ad essere considerato un settore di secondaria importanza, quando nella realtà oggi è la prima industria del Paese. Gli interventi finora previsti per il settore sono totalmente inadeguati rispetto alla gravità della situazione”, si sottolinea nella lettera. “Il settore è un attivatore straordinario di filiere, se non va il turismo soffre tutta l’economia nazionale. Non a caso, Germania e Francia, per fare due esempi, hanno stanziato rispettivamente 35 e 15 miliardi per il turismo nei loro Piani per il Recovery Fund”, mentre l’Italia 3 miliardi insieme alla cultura. Una disparità incomprensibile che ci condanna all’irrilevanza nei prossimi anni e mette a rischio la vita di migliaia di imprese e posti di lavoro”.
Tanti appelli, poche risposte. Nel frattempo, l’ultimo report elaborato da Isnart-Unioncamere conferma ancora una volta che il turismo è il comparto più colpito dalla crisi pandemica: il 2020 chiude con 53 miliardi di euro in meno rispetto al 2019, contrazione dovuta principalmente alla riduzione di turisti internazionali in tutto l’arco dell’anno e che nei mesi estivi ha superato il 60%. Un deficit destinato però a peggiorare, con la batosta della stagione invernale. Ma non è tutto: le previsioni sui primi tre mesi del 2021 (ancora in emergenza Covid, anche se le vaccinazioni saranno iniziate) indicano ulteriori perdite per circa 8 miliardi. Una pessima situazione, che dovrebbe essere al primo posto nelle agende dei decisionisti e nelle liste dei destinatari dei fondi in arrivo (si spera) dall’Europa. Perché non è solo turismo, non è solo tempo libero: è una grossa fetta di produzione di valore che sta rapidamente evaporando.