Ormai non ci si può più stupire. Ma vedere nero su bianco le cifre del baratro certificate da un istituto di ricerca (in questo caso Demoskopika, da vent’anni impegnato nella ricerca economica e sociale) non può lasciare indifferenti. Parliamo di turismo, e della tragedia che lo ha riportato in dodici mesi ai livelli di trent’anni fa, e per certi settori della sua lunga filiera (ad esempio il trasporto, soprattutto aereo) anche a quaranta o cinquanta.
Riassumendo: il gennaio 2021 ha registrato 14,4 milioni di pernottamenti e 4,8 milioni di turisti in meno (variazione del -80%) rispetto allo stesso mese del 2020. E il 2020 ha bruciato 232 milioni di presenze (-53,1% sul 2019) e 67 milioni di arrivi (-51,3%), con la spesa turistica crollata di 20 miliardi, dei quali il 73% è concentrato in sei regioni: Veneto, Toscana, Lombardia, Lazio, Emilia Romagna, Trentino Alto Adige. Secondo il report di Demoskopika, nel 2020 il Veneto ha ridotto gli arrivi di 12,2 milioni (-60,4% rispetto al 2019) e le presenze di 44,5 milioni (-62,4%). Seguono la Lombardia con una contrazione di 9,5 milioni di arrivi (-54,2%) e 22,4 milioni di presenze (-55,4%), la Toscana con una riduzione pari a 8,3 milioni di arrivi (-58,0%) e 28,7 milioni di presenze (-59,8%), il Lazio con 6,6 milioni di arrivi perduti (-51,7%) e 19,9 milioni di presenze (-51,0%) e l’Emilia-Romagna con una riduzione pari a 6,1 milioni di arrivi (-52,9%) e 23 milioni di presenze (-57,1%).
In percentuale, è la Sicilia ad avere i numeri peggiori, preceduta solo dal Veneto: meno 3 milioni di arrivi e meno 9 milioni di presenze con un calo rispettivamente del 58% e del 59,6%. Quanto alla contrazione della spesa turistica (20 miliardi a livello nazionale) l’analisi per livello regionale colloca il Veneto in testa con un decremento stimato pari a 3.939 milioni di euro. Seguono Toscana con 2.570 milioni di euro, Lombardia con 2.357 milioni di euro, Lazio con 2.205 milioni, Emilia-Romagna con 1.820 milioni e Trentino-Alto Adige con 1.610.
Un bollettino di guerra, che ha portato a varie misure-tampone e adesso anche alla (ri)nascita del ministero dedicato. L’istituto di analisi, sulla scorta dei dati, sottolinea la necessità di una governance per mettere a sistema i fondi messi a disposizione per la ripresa del sistema turistico e superare la frammentazione delle competenze; per redigere un piano strategico nazionale e dare il via alle riforme strutturali del comparto. Nel frattempo, il Governo sta lavorando sul nuovo Decreto Sostegno che dovrà indicare i capitoli di spesa per 12 dei 32 miliardi di extradeficit approvati dal Parlamento in ottica anti-crisi, confidando che la campagna di vaccinazioni proceda finalmente in maniera spedita per consentire una certa normalità, e la ripartenza delle attività.
Il decreto potrebbe arrivare a giorni, ma già il ministro del Turismo Massimo Garavaglia non nasconde che, ad esempio, per gli impianti di risalita “ha poco senso parlare di fatturato (che ovviamente, non essendo mai partita la stagione, risulta azzerato, ndr), perché i costi fissi restano comunque alti”. Ma quello dei costi ineludibili non è un problema solo degli impiantisti di montagna (ai quali il nuovo decreto sembra destinerà risorse per 600 milioni). Emblematico è ad esempio il caso degli alberghi, che – è vero – non sono mai stati obbligati alla chiusura per decreto, ma di fatto sono stati disertati dai viaggiatori, impossibilitati agli spostamenti. Chi è rimasto aperto (pochi) lo ha fatto affrontando rischi d’impresa assurdi, e finiti quasi sempre malissimo. Anche gli albergatori hanno insomma dovuto far fronte ai costi fissi (che sono innumerevoli, dal fisco alle manutenzioni, dalle spese energetiche alle custodie, e per i gestori anche le ingenti spese per i canoni d’affitto delle strutture).
Il nodo dei costi fissi su cui basare i sostegni, malgrado le ottime intenzioni (non solo di questo nuovo esecutivo, ma anche del precedente), resta ancora un… nodo, impastoiato nelle immancabili verifiche tecnico-burocratiche per l’applicazione, e anche questo nuovo Decreto Sostegno (ex Ristori 5) forse non arriverà a scioglierlo. Di sicuro, però, le risorse non seguiranno più i famosi codici Ateco, saranno invece tarate sulla base dei fatturati: un buon passo avanti. E parte di quel portafoglio (2 miliardi) andrà alla riorganizzazione della campagna vaccinale e all’acquisto di nuove dosi di vaccini: un vero “sostegno”, e per ora l’unica soluzione di questa terza guerra mondiale.