Francamente, non ci si poteva aspettare niente di diverso. In quest’Italia semaforica, senza nemmeno un verde, e forse bisognosa piuttosto anche di un rosso bordeaux, insieme al Covid spopola alla grande anche l’incertezza, in una guerra asimmetrica tra epidemia e Dpcm variabili, che tentano vanamente di mediare tra i moniti dei sanitari e le necessità dell’economia. “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”: parola della nostra Costituzione, articolo 32. Ma la stessa Costituzione apre con “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”, articolo 1. Difficile oggi quadrare il cerchio. E dunque, in queste incertezze quotidiane un risultato è chiaro: sei italiani su dieci non prendono nemmeno in considerazione l’ipotesi di fare una vacanza da qui a fine anno. È questo il disarmante risultato dell’ultimo sondaggio SWG per conto di Confcommercio Turismo: l’indice di fiducia del viaggiatore peggiore di sempre.



“Dopo cinque mesi che hanno bruciato 49,5 milioni di arrivi in Italia e 153,5 milioni di presenze oltre a 10,5 milioni in meno di Italiani all’estero – dicono in Confturismo -, agosto e settembre non sono andati meglio, se non per una lievissima ripresa dei flussi interni, caratterizzati però da soggiorni brevi e capacità di spesa decisamente ridotta. L’indice di fiducia del viaggiatore italiano, calcolato mensilmente, fornisce però indicazioni ancora peggiori per l’immediato futuro: la propensione a viaggiare scende a 49 punti, su scala 0-100, il peggior risultato di 6 anni di rilevazione dopo i 44 punti di aprile, quando si era in pieno lockdown: 17 punti sotto a ottobre 2019. L’elemento alla base di tutto questo è ovviamente la paura della pandemia, come dice il 64% degli intervistati. Un timore tanto radicato da influenzare i mesi a venire fino all’estate 2021”. Uno scenario drammatico per tutto il comparto, che, se confermato, farebbe saltare settimane bianche, Carnevale e Pasqua.



In questi scenari, molti operatori stanno già procrastinando le aperture delle strutture montane (gli alberghi italiani di montagna da tre/quattro stelle in su “valgono” 3,7 miliardi di patrimonio immobiliare, secondo World Capital), anche loro nell’assoluta incertezza sulle assunzioni stagionali, gli approvvigionamenti, gli adeguamenti necessari. Già i gestori degli impianti sciistici hanno rinviato l’inizio degli innevamenti programmati, e il protocollo sanitario elaborato con le Regioni per le riaperture è ancora fermo al tavolo della Conferenza con lo Stato e il Comitato tecnico scientifico.



Tutto questo in montagna. Nelle città va ancora peggio: a Roma risulta occupato solo il 10% delle camere d’hotel disponibili, e non va meglio nelle altre grandi città. Mentre i proprietari delle strutture, soprattutto quelle sottocapitalizzate, magari facenti capo a famiglie e senza le spalle coperte da catene internazionali, stanno gareggiando su chi riuscirà a (s)vendere tutto per primo, una tendenza che nemmeno il fondo nazionale per il turismo varato da Cdp (proprio contro il dissolvimento del patrimonio immobiliare italiano) sembra riuscire ad arginare.

Se non si invertiranno le tendenze, insomma, e la situazione sanitaria non dovesse migliorare, per il turismo si prefigura un bilancio da incubo per un 2020 che è destinato a lasciare sul campo le macerie di un comparto che garantiva al Paese più del 13% del suo valore.