La questione Ucraina ogni giorno mostra nuovi sviluppi, in uno scenario assolutamente fluido. Tra gli ultimi episodi che hanno rinfocolato la tensione e il rischio di una guerra, il bombardamento a colpi di mortaio che ha devastato un asilo, la cui responsabilità viene rimpallata tra Kiev e i russofoni del Donbass.

È questo il pericolo maggiore al momento, come ci ha detto il generale Carlo Jeanesperto di strategia, docente e opinionista: “Quella che in gergo viene chiamata ‘operazione false flag’, bandiera falsa, è quanto gli americani adesso addebitano alla Russia, ovvero scatenare gesti provocatori con attacchi terroristici o con droni contro i civili in modo da provocare la reazione di Kiev contro gli indipendentisti del Donbass, che a sua volta obbligherebbe i russi a intervenire militarmente”. Ma è difficile attribuire responsabilità, perché si combatte anche una guerra di informazione. In questo quadro l’azione diplomatica è di nuovo in una fase di stallo.



Abbiamo assistito all’episodio dell’asilo bombardato nel Donbass, che avrebbe potuto provocare una strage di bambini. La situazione in Ucraina sta precipitando?

Putin si sta dimostrando molto incerto. Ha preparato un ingente attacco militare e uno ibrido, mentre il ministro degli Esteri, Lavrov, dopo aver concesso un’apertura diplomatica, ha presentato di nuovo alla Nato proposte chiaramente inaccettabili, come a inizio negoziato, quando erano state respinte.



Intende riferirsi al ritiro delle forze Nato dai Paesi Baltici e dall’Est europeo?

Esattamente. Sarebbe come abbandonare l’Europa orientale e baltica nelle mani dei russi. Una prospettiva inaccettabile per l’Occidente.

C’è il rischio che ad agire siano i russofoni del Donbass, sentendosi spalleggiati da Mosca?

È una possibilità. Personalmente la ritengo però abbastanza improbabile, perché rischierebbe di scatenare le sanzioni degli Stati Uniti, che di solito sono particolarmente pesanti e severe. Però è possibile che si verifichi quello che lei paventa. Gli Stati Uniti parlano di operazione “false flag”, ovvero una scusa da parte dei russi per dare il via all’invasione dell’Ucraina. L’avvertimento di Biden è mosso anche dall’espulsione del numero due dell’ambasciata Usa a Mosca, Bart Gorman, una decisione che Washington ha considerato un passo che porta a un’escalation.



In questi giorni si tiene l’appuntamento annuale della Conferenza per la sicurezza di Monaco, a cui Mosca per la prima volta non ha mandato nessun rappresentante. È il segnale di un muro ormai invalicabile per la diplomazia?

Putin si è messo in una situazione di impasse da cui non sa come uscire. Mentre gli europei sono abbastanza disponibili ad avviare negoziati che gli salverebbero la faccia, Biden, che in politica estera ha inanellato diversi flop, insiste duramente con la Russia perché vuole ottenere una vittoria in politica estera.

Come commenta la condotta degli europei?

L’Europa ha bisogno degli Stati Uniti, non può farne a meno. Il modo brutale con cui Putin si è approcciato alla questione ucraina ha rinsaldato i rapporti fra Europa e Washington. Alcuni leader che erano dubbiosi, come Macron, che aveva parlato di morte cerebrale della Nato, oppure come i tedeschi, particolarmente i socialdemocratici legati alla vecchia Ostpolitik (la politica di riavvicinamento con l’Unione Sovietica intrapresa dal cancelliere Willy Brandt negli anni 70, ndr), adesso si sono allineati all’atlantismo più ortodosso.

Draghi lavora per un incontro tra il presidente ucraino Zelensky e Putin. Ritiene che si terrà?

Se si incontrassero, non concluderebbero niente, tanto le loro posizioni sono distanti. Il punto su cui si sono spinti è tale che qualsiasi compromesso risulta difficile. Putin si trova tra Scilla e Cariddi: non vuole dipendere troppo dalla Cina, ma la durezza di Biden lo sta spingendo proprio in quella direzione.

Biden ha comunque dichiarato che non interverrà mai militarmente in Ucraina. Questo può far sì che, in una situazione che sembra analoga, la Cina si senta libera di attaccare Taiwan?

No, non credo. La Cina ha sempre tenuto separata la questione ucraina da quella di Taiwan. Se l’Ucraina è un boccone un po’ grosso da ingoiare per i russi, Taiwan è una fortezza difficilmente espugnabile. La Cina dovrebbe impiegare una forza militare spropositata e non ci sarebbe alcuna certezza di una conquista in tempi rapidi. Inoltre la Cina continentale è divisa da Taiwan da un mare ancora dominato dagli Stati Uniti e dai suoi alleati, come Regno Unito, Australia e Giappone: sono talmente forti che la marina militare cinese ne uscirebbe malconcia.

(Paolo Vites)

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