Tiene tutti con il fiato sospeso, perché non si sa come andrà a finire. Ma le preoccupazioni crescono per i dati sempre più allarmanti relativi alle forze in campo e agli spostamenti di navi e truppe. Si può perciò guardare la crisi in atto, cercando di informarsi attraverso studi seri e documentati. E passare dunque dalla lettura del libro di Sergio Romano, Processo alla Russia. Un racconto (Longanesi, Milano 2020) a quella del saggio di Maurizio Molinari, Assedio all’Occidente. Leader, strategie e pericoli della seconda guerra fredda (La nave di Teseo, Milano 2019), comparando prospettive diverse e constatando tutta l’intricata complessità dei problemi, unitamente al doveroso rispetto dei diritti umani. 



Si possono, poi, leggere interviste di opinionisti, analisti ed esperti di geopolitica, soffermandosi sui veloci cambiamenti storici in atto, sempre più vorticosi e pericolosi per la sicurezza internazionale. Si può riflettere, anche, in base alla teoria delle decisioni, su che cosa comporta per i leader coinvolti fare un passo indietro o un passo avanti, rispetto alla propria opinione pubblica, alle reazioni altrui o alle conseguenze politiche interne/esterne ed economiche, augurandosi che si allarghi lo spazio della mediazione. 



Ma tutto questo corre il rischio di non mettere in luce la vera posta in gioco: il cuore dell’uomo. La battaglia, ora in atto, è nel cuore di chi prende decisioni e sceglie per altri. E allora conviene ricordare che proprio i grandi scrittori russi hanno insegnato che il cuore dell’uomo è vero quando vibra di fronte alla scelta, quando trema per ciò che può accadere. Non a caso Gogol’ – i cui natali sono contesi –, con scrittura tremante e testamentaria, nella fase finale della sua vita chiese di essere anime vive e non morte. 

D’altro canto, il tremore non può essere ridotto: non è la paura; è qualcosa di più, qualcosa di strutturale e abissale. Non è una mera reazione psicologica o fisiologica. Si tratta della scoperta dell’esiguità della creatura mortale e della sua dipendenza ontologica. È, perciò, il tremore di fronte al destino proprio, dell’altro, della storia. Il tremore, infatti, è la conoscenza sconcertante, ma reale, che la vita non è né nelle nostre mani né in quelle dei poteri che pensano di sapere dove andrà la storia. Il Potere più potente è infatti vulnerabile di fronte al mistero stesso della realtà. Il tremore, poi, può certamente essere nascosto o celato. Un pilota che colpisce dall’alto non vede un volto, non guarda la storia umana della vittima, inquadra solo un obiettivo. Non sente urla e non osserva le lacrime. Il militare che muore per la patria ha nel suo cuore lealtà, fedeltà e onore, ma anche un universo più grande: legami, mondi impensati, una storia inesplorata e nel fondo di sé un’immagine incancellabile, quella di un Altro. La vittima innocente di una guerra, classificata come inevitabile effetto collaterale per un’utilità superiore, è invece un grido di razionalità che la coscienza non può annullare. Il tremore dell’indifeso non può più essere sepolto nella caverna della ragione. E il suo volto non è uno scarto anonimo condannato a sparire nel nulla. Resiste al tempo che passa con la sua domanda di senso che supera confini, giustificazioni e cambiamenti storici. 



La Dragon Lady di Oxford, Elizabeth Anscombe, per ciò stesso, criticò Truman per l’uso della bomba atomica contro Hiroshima e Nagasaki. Il presidente, nel suo intento di minimizzare i costi umani, non aveva tenuto conto, però, degli innocenti, dei volti degli inermi. E allora viene in mente l’innocente “bimbino” sofferente che Mitja Karamazov vede in sogno, simbolo dei tanti scartati o cacciati dalla storia; e diventa attuale anche ciò che, in modo drammatico, chiese Dostoevskij nel suo celebre discorso su Puškin dell’8 Giugno 1880. “Immaginatevi di erigere voi stessi l’edificio del destino umano con lo scopo di rendere felici gli uomini e dar loro pace e stabilità. E immaginatevi ancora che per far questo sia necessario, inevitabile di tormentare fino alla morte una creatura umana soltanto, sia pure di poco valore…Accettereste di essere l’architetto di questo edificio a tale condizione?” (Diario di uno scrittore, Sansoni, Firenze 1981, p. 1271). La domanda del genio russo, per la sua radicalità, arriva al cuore e non può non fare tremare.

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