La recente visita in Ucraina del presidente turco Recep Erdogan si presta a interessanti considerazioni sotto diversi aspetti. Innanzitutto conferma la sua strategia volta ad affermare la Turchia come una potenza non solo regionale, utilizzando ogni occasione e strumento a disposizione. Le gravi difficoltà interne in cui versa la Turchia, dalla pesantissima inflazione alla svalutazione della moneta, rendono questa strategia ancora più urgente. Il regime sta soffocando in modo molto pesante ogni contestazione interna, senza peraltro particolari reprimende neppure dagli alleati della Nato. O dall’Unione Europea, anche se questi caratteri autoritari, che fanno parlare di regime, sono una delle ragioni della probabile chiusura definitiva all’entrata della Turchia nell’Ue. Per la verità, una delle posizioni più dure è stata quella di Mario Draghi, che ha definito Erdogan “un dittatore”.



La Turchia ha approfittato delle varie ritirate degli Stati Uniti e della debolezza di azione dell’Europa per intervenire in diverse aree in cui è presente anche la Russia, vedasi la Libia o il Medio Oriente, a volte di conserva, a volte su fronti opposti. Dopo l’abbandono americano dell’Afghanistan, Ankara si è attivata in questo Paese martoriato e le modalità sono emblematiche del suo utilizzo di diversi elementi di richiamo. Nella sua presenza in Afghanistan, infatti, viene fatta rilevare la sua appartenenza alla Nato, ma anche il suo essere un Paese musulmano, di un islam che Erdogan ha reso particolarmente “drastico”, anche se non (ancora?) come quello dei talebani.



La politica di Erdogan appare svolgersi su due versanti, dei quali il primo è definito “neo-ottomano”, cioè il tentativo di ridare alla Turchia la potenza del passato Impero Ottomano. Una azione che si estende a tutto il Medio Oriente e a parte dell’Africa, ma che contempla anche una ripresa di influenza nei Balcani, in particolare nel Kosovo.

Il secondo, che si può definire “panturco”, si basa sul richiamo alla comune origine etnica e linguistica turca di Stati come Azerbaijan, Kazakistan, Kirghizistan, Turkmenistan e Uzbekistan. Paesi già parte dell’Unione Sovietica e in cui Mosca continua ad avere una notevole influenza, come nei recenti conflitti interni del Kazakistan. Anche in tutta questa regione, quindi, le relazioni tra Ankara e Mosca non sono del tutto lineari. Un esempio particolarmente significativo è dato dalla guerra nel 2020 tra Azerbaijan e Armenia per il Nagorno Karabakh, nella quale la Turchia ha fiancheggiato il primo e la Russia la seconda. Il fiancheggiamento della Turchia non è stato solo diplomatico, perché Ankara ha fornito a Baku droni che sembrano essere stati una delle cause della vittoria azera.



In questa vicenda, la Russia ha mantenuto un atteggiamento non rigido, favorendo un accordo tra Azerbaijan e Armenia; di più, si è posta come mediatore tra quest’ultima e la Turchia, che non intrattengono rapporti dal genocidio armeno del 1915. A sua volta, Erdogan ha approfittato della sua visita a Kiev per offrirsi come mediatore tra la Russia e l’Ucraina, proponendo un incontro in Turchia. Ancora un esempio di come le relazioni tra Ankara e Mosca, o forse meglio tra Erdogan e Putin, sono improntate a un realismo che pone in rilievo in modo netto l’aspetto “commerciale” dei rapporti tra Stati. Senza particolari coperture di tipo “etico”, che spesso caratterizzano i governi occidentali.  

Fino a questa visita, Erdogan si era schierato a favore dell’Ucraina, rimproverando Putin per l’annessione della Crimea, mossa coerente con la politica panturca già vista. La Crimea era abitata in maggioranza da tartari che, dopo la deportazione di massa ordinata da Stalin, sono ora minoranza nella Crimea russificata. D’altra parte, Russia e Impero Ottomano furono protagonisti nell’Ottocento di quella Guerra di Crimea che è stata rilevante per l’unificazione della penisola italiana. Tuttavia, suona paradossale che la Turchia accusi la Russia dopo aver annesso con la forza metà di Cipro, quella che si definisce Repubblica Turca di Cipro del Nord, riconosciuta solo da Ankara.

Come per l’Azerbaijan, anche per l’Ucraina tornano alla ribalta i droni turchi, i Bayraktar TBT2, che Ankara ha venduto anche a Kiev, ben accolti dall’esercito ucraino nel conflitto con i separatisti filorussi e in vista della proclamata, da Washington, invasione russa. A ulteriore dimostrazione dell’altalena nei rapporti turco-russi, nella sua visita Erdogan ha firmato un accordo per la produzione dei droni direttamente in Ucraina, mossa ovviamente non gradita a Mosca.

Pare che un congiunto di Erdogan sia coinvolto nella produzione dei droni: se così fosse, verrebbe confermato che la chiave di volta rimane business is business, soprattutto se riguarda la famiglia.

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