Mentre nel Donbass continuano i lanci reciproci di missili e bombe, non si ferma neppure la fuga in Russia di migliaia di civili che vivono nelle due repubbliche che ieri hanno ottenuto il riconoscimento di Mosca. Gli Stati Uniti insistono nell’allarme bellico, denunciando addirittura una lista nera preparata da Mosca di ucraini da catturare o uccidere dopo un’invasione. In questo quadro il presidente francese Macron sta spingendo per un incontro tra Biden e Putin, che secondo informazioni non confermate si dovrebbe tenere il 24 febbraio in territorio neutrale, ma il Cremlino fa sapere che sarebbe ancora “prematuro”. Secondo Eleonora Tafuro Ambrosetti, ricercatrice presso il Centro Russia, Caucaso e Asia Centrale dell’Ispi (Istituto Italiano di Studi Politici Internazionali), “le posizioni tra Russia e Stati Uniti sono ancora antitetiche, anche se a livello formale c’è una volontà politica di venirsi incontro. Molti analisti, però, soprattutto ucraini, sospettano che a porte chiuse si stia lavorando a una soluzione paragonabile a quella tra il nazista Ribbentrop e il sovietico Molotov per spartirsi nel 1939 la Polonia”. In sostanza, ci dice ancora Tafuro Ambrosetti, “l’impressione è che stiamo assistendo a uno scontro fra le due grandi potenze sopra la testa degli ucraini, ma anche dell’Europa in generale”.
Macron sta cercando di svolgere un ruolo di intermediario tra Biden e Putin. Ci sono novità al riguardo?
Al momento l’incontro sarebbe confermato per il prossimo 24 febbraio, a condizione però che la Russia non porti avanti l’escalation nel Donbass e che soprattutto non ci sia alcun attacco militare da parte di Mosca.
Potrebbe essere la svolta tanto attesa?
Non è sicuramente il primo incontro ad alto livello, perché i due presidenti si sono già incontrati. Il problema è che le posizioni sono rimaste davvero antitetiche, mentre a livello formale si conferma la volontà politica di venirsi incontro. Dico a livello formale, perché ovviamente noi non sappiamo cosa succede a porte chiuse. È questa la ragione per cui alcuni analisti si spingono a paragoni storici, come il famoso patto Ribbentrop-Molotov.
Addirittura?
Analisti in Ucraina si lamentano di questa possibilità, che il futuro del loro paese venga deciso a porte chiuse dalle grandi potenze. Sono paragoni con atti storici che personalmente non condivido, perché ogni atto storico è un evento unico, ma è anche vero che effettivamente quello a cui si sta assistendo sembra un esempio di lotta fra due grandi potenze in cui il destino dell’Ucraina rappresenta solo una delle variabili.
Infatti gli americani continuano a lanciare l’allarme guerra in Europa. Ci sono differenze nella gestione della crisi tra Usa ed Europa?
Assolutamente sì. Non c’è tanto una differenza di posizioni, ma una diversità intermedia di interessi e di vulnerabilità nel caso di un deterioramento ulteriore della situazione, che avrebbe conseguenze anche sulla questione energetica. Stati Uniti ed Europa hanno una percezione molto diversa della minaccia russa, non solo per ragioni storico-geografiche, ma anche commerciali.
Si riferisce al problema energetico?
Esatto, ma anche al fatto che per gli Stati Uniti la Russia è il partner, diciamo, numero trenta, mentre per noi europei è il numero cinque, nonché la fonte principale di approvvigionamento di energia. Quello che poi si può dire a livello più ampio è che la Ue negli ultimi anni ha cercato di portare avanti un discorso di politica estera incentrato sul concetto di autonomia strategica, anche come autonomia dagli Usa. Purtroppo questa crisi ci fa vedere come ancora, non solo dal punto di vista della sicurezza, ma anche della formulazione della politica estera nei confronti della Russia, siamo legati a doppio filo alla politica statunitense.
D’altro canto siamo loro alleati, no?
Sì, ma da un’altra angolatura questo è visto sempre più come un problema per l’autonomia strategica. D’altronde, anche in questa crisi, l’Unione Europea non ha gli strumenti per intervenire, un segnale evidente dei limiti che ha la Ue.
Si parla molto di un piano su vasta scala da parte di Putin per ricostituire di fatto la sfera di influenza della vecchia Unione Sovietica. Che ne pensa?
Sono molto scettica riguardo a queste teorie. Sicuramente la politica russa nei confronti dei paesi vicini presenta degli aspetti che si possono definire imperialisti, però il fine ultimo non è ricostruire una sfera di influenza simile a quella che la Russia ha avuto, non solo con l’Unione Sovietica, ma anche con l’Impero zarista. Credo che non si tratti di una questione sola, ma di tante questioni.
Ci può dire quali?
In primis, una questione di status e di lotta più ampia con gli Usa per definire un assetto di sicurezza che Mosca percepisce oggi come molto sfavorevole. Una rivincita o un tentativo di cambiare un po’ le conseguenze della fine della Guerra fredda. Dal punto di vista occidentale la Russia viene considerata sconfitta, ma da quello russo è tutt’altro che sconfitta. C’è una differenza di percezione: i russi non pensano di averla persa, ma solo che il sistema si sia sgretolato e poi si è investito in un rapporto positivo con l’Occidente per garantire un assetto di sicurezza condiviso.
Un assetto però tradito dall’aver accettato nella Nato quasi tutte le ex repubbliche sovietiche, è così?
Sì, questo assetto non si è manifestato e la Russia si sente umiliata e tradita. È una delle ragioni per cui Mosca si sta comportando così.
Le altre?
Il desiderio di ritrovare uno status, di far sentire la propria voce, di mantenere una certa influenza sui paesi vicini, rispettando però la loro sovranità, quando questi Stati decidono di assumere una posizione neutrale.
Visto dagli ucraini, però, dopo la Crimea e adesso con il Donbass, il loro paese è piano piano fatto a pezzi da Mosca.
È vero, per questo motivo ho sottolineato la questione del rispetto di una neutralità, scelta che l’Ucraina non ha fatto. Non voglio dire che la Russia abbia ragione. L’annessione della Crimea è illegale, così come il sostegno alle repubbliche separatiste. Dal punto di vista russo, però, non c’è un desiderio di controllarli oppure di istituire regimi dittatoriali, sono tutte teorie che non condivido. Il grosso problema nasce quando uno di questi Stati decide di approfondire l’integrazione con Stati Uniti e Unione Europea o addirittura di mettere nella propria costituzione, come ha fatto Kiev, l’ambizione di diventare membro della Nato.
Dove passa, allora, una possibile soluzione della crisi? Da un negoziato sul Donbass? O la situazione è ormai irrecuperabile?
La situazione nel Donbass è molto difficile. Il compromesso al quale si potrebbe arrivare, e che mi auguro si trovi, è il rispetto degli accordi di Minsk, che purtroppo non vengono onorati da entrambe le parti. È l’unica base legale. Riformulare un altro accordo di cessate il fuoco non è fattibile in un breve periodo, perché la situazione si sta deteriorando in modo pericoloso.
(Paolo Vites)
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