“Non dovrebbe esserci bisogno, non c’è bisogno, per esempio, di includere nell’ideologia ufficiale della Repubblica l’europeismo. Si può essere buoni cittadini, affezionati ai valori della democrazia e della Costituzione, e si ha diritto ad essere considerati da tutti come tali, anche se non si è pronti a giurare che l’avvenire dell’Italia è nell’Europa, ovvero che a Bruxelles si è costruito, o si sta costruendo, qualcosa di destinato a durare.
Viene invece proprio questo sospetto – che ormai essere europeista (ed esserlo alla maniera che va per la maggiore) è un obbligo di ogni buon italiano – leggendo il primo discorso importante del presidente Napolitano dopo la sua elezione, pronunciato qualche giorno fa a Ventotene per l’anniversario della scomparsa di Altiero Spinelli, e dunque in ricordo del Manifesto federalista redatto nel 1941 da Spinelli medesimo insieme a Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni, nell’isola dove erano tutti e tre confinati.
Nel discorso di Napolitano l’europeismo non è più un ‘ismo’ come altri, non è più una pur importante scelta politica in cui egli da tempo si riconosce e che ha caratterizzato la vita di una persona a lui personalmente cara come Spinelli, non è più un insieme di politiche, alcune delle quali palesemente fallimentari: no, esso diviene uno standard storico-morale superiore, una sorta di obbligo di coscienza, ‘un dovere non eludibile’ da parte di alcuno, come egli stesso dice, innanzi tutto da parte delle ‘forze della cultura’. Inutile dire che nelle parole del presidente le ‘rivendicazioni dell’interesse nazionale’ non in armonia con tale standard sono per definizione ‘illusorie e meschine’, frutto di ‘una stanca tentazione di ripiegamento’, e che mostrarsi scettici verso ‘il progetto europeo’ è solo ‘sterile’”. Così scriveva, sul Corriere della Sera, Ernesto Galli Della Loggia il 26 maggio 2006 (“Ventotene: L’Italia e il mito europeo”).
Le parole di Galli Della Loggia tornano oggi di attualità e forniscono interessanti parametri per esaminare gli avvenimenti di oggi e i possibili scenari futuri. Le due prospettive (europeismo vs cooperazione tra nazioni) possono essere utilmente approfondite nella lettura di alcuni brani del Manifesto di Ventotene e della Costituzione italiana.
Il Manifesto di Ventotene (Per un’Europa libera e unita, 1941) si dichiara apertamente diffidente rispetto alla possibilità di un mondo che si regga sulla cooperazione tra le nazioni.
“Si è affermato l’eguale diritto a tutte le nazioni di organizzarsi in stati indipendenti. Ogni popolo, individuato nelle sue caratteristiche etniche geografiche linguistiche e storiche, doveva trovare nell’organismo statale, creato per proprio conto secondo la sua particolare concezione della vita politica, lo strumento per soddisfare nel modo migliore ai suoi bisogni, indipendentemente da ogni intervento estraneo. L’ideologia dell’indipendenza nazionale è stata un potente lievito di progresso … Essa portava però in sé i germi del nazionalismo imperialista, che la nostra generazione ha visto ingigantire fino alla formazione degli Stati totalitari ed allo scatenarsi delle guerre mondiali. La nazione non è più ora considerata come lo storico prodotto della convivenza degli uomini, che, pervenuti, grazie ad un lungo processo, ad una maggiore uniformità di costumi e di aspirazioni, trovano nel loro stato la forma più efficace per organizzare la vita collettiva entro il quadro di tutta la società umana. È invece divenuta un’entità divina, un organismo che deve pensare solo alla propria esistenza ed al proprio sviluppo, senza in alcun modo curarsi del danno che gli altri possono risentirne. La sovranità assoluta degli stati nazionali ha portato alla volontà di dominio sugli altri…” (Manifesto di Ventotene).
Senza possibilità di equivoco, gli estensori del Manifesto di Ventotene dichiaravano di non riporre speranze nelle organizzazioni internazionali e nel diritto internazionale: “È ormai dimostrata l’inutilità, anzi la dannosità di organismi sul tipo della Società delle Nazioni, che pretendeva di garantire un diritto internazionale senza una forza militare capace di imporre le sue decisioni, e rispettando la sovranità assoluta degli Stati partecipanti. Assurdo è il principio del non-intervento, secondo il quale ogni popolo dovrebbe essere lasciato libero di darsi il governo dispotico che meglio crede…” (Manifesto di Ventotene).
Gli estensori del Manifesto di Ventotene prefiguravano invece una missione salvifica per l’Europa, chiamata ad evitare gli errori delle nazioni e ponevano pertanto nell’Europa unita in nome del socialismo l’unica strada possibile.
“Il problema che in primo luogo va risolto, e fallendo il quale qualsiasi altro progresso non è che apparenza, è la definitiva abolizione della divisione dell’Europa in stati nazionali sovrani … Un’Europa libera e unita è premessa necessaria del potenziamento della civiltà moderna … La rivoluzione europea, per rispondere alle nostre esigenze, dovrà essere socialista”. (Manifesto di Ventotene).
Quale delle due strade – l’Europa unita, oppure la cooperazione tra le nazioni nelle organizzazioni internazionali – scelsero i Costituenti per l’Italia?
Sul tema del rapporto tra la nazione italiana e le Organizzazioni internazionali, così recita l’art. 11 della Costituzione: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”.
Circa il ruolo dell’Italia nelle altre organizzazioni internazionali e, in particolare, circa la disposizione dell’articolo 11 così si esprimeva la Corte costituzionale nella sentenza n. 183 del 1973: “non a caso collocata tra i ‘principi fondamentali’ della Costituzione, segna un chiaro e preciso indirizzo politico: il costituente si riferiva, nel porla, all’adesione dell’Italia alla Organizzazione delle Nazioni Unite”.
Sul dilemma tra la strada dell’Europa unita e la strada delle organizzazioni internazionali, appare necessario assumere a fondamento la volontà dei Costituenti. Nella seduta pomeridiana del 24 marzo 1947 dell’Assemblea costituente, in particolare, si doveva decidere il testo dell’articolo 11 della Costituzione. In quella seduta il deputato Bastianetto propose di inserire la parola “Europa” nella Costituzione: “Noi siamo qui uniti per dare alla nostra Patria una grande Carta costituzionale; questa è la nostra speranza; e, se in questa Carta costituzionale potremo inserire la parola ‘Europa’, noi incastoneremo in essa un gioiello … Non sappiamo quello che sarà l’avvenire dell’Europa ed è forse prematuro pensare – non però per mio conto – agli Stati Uniti d’Europa o ad una federazione di Repubbliche europee; a me basta inserire il concetto che … sopra lo Stato e prima dell’organizzazione mondiale internazionale, vi sia l’Europa, la nostra grande patria, perché, prima di tutto, noi siamo cittadini europei”. La proposta dell’onorevole Bastianetto fu respinta. Il presidente della Commissione per la Costituzione, on. Meuccio Ruini, così sintetizzò gli esiti della discussione: “La questione sollevata dall’onorevole Bastianetto, perché si accenni all’unità europea, non è stata esaminata dalla Commissione. Però, raccogliendo alcune impressioni, ho compreso che non potrebbe avere l’unanimità dei voti. L’aspirazione all’unità europea è un principio italianissimo; pensatori italiani hanno posto in luce che l’Europa è per noi una seconda patria. È parso, però, che anche in questo momento storico, un ordinamento internazionale può e deve andare oltre i confini d’Europa. Limitarsi a tali confini non è opportuno di fronte ad altri continenti, come l’America, che desiderano di partecipare all’organizzazione internazionale” (Intervento dell’on. Meuccio Ruini, seduta plenaria dell’Assemblea Costituente, sessione pomeridiana del 24 marzo 1947, discussione sul testo dell’art. 11 Cost.).
Importanti ambiguità circa la natura dell’Unione Europea attraversano, da decenni ormai, la vita quotidiana delle organizzazioni internazionali e del diritto internazionale. “The European Communities is not a state”; “The European Communities is not a country”: così scrivevano (v. pag. 49 e seguenti, sentenza WT/DS/174 del 15.3.2005, Contenzioso in materia di “country of origin” e di indicazioni geografiche) i giudici dell’Organizzazione mondiale del commercio.
Sui medesimi temi pesa l’autorevole monito di Renato Ruggiero: “Dobbiamo ripristinare il primato indiscusso del sistema commerciale multilaterale … All’inizio del sistema Gatt (General Agreement on Tariff and Trade, ndr), gli accordi preferenziali costituivano l’eccezione. La principale fonte di accordi preferenziali era la Comunità europea … Il rischio è un sistema commerciale internazionale senza più regole concordate da tutti, dove poveri e deboli dovranno temere ‘un ritorno alla legge della giungla’ … Stiamo ‘deglobalizzando’ il sistema del commercio internazionale? Le rigidità del sistema aumenteranno e le controversie tra queste vaste aree regionali preferenziali potrebbero diventare molto pericolose. Questa è, credo, la sfida più importante nel sistema commerciale internazionale di oggi … Lavoriamo insieme per salvare il futuro dell’Omc e il primato del sistema multilaterale” (Intervento al Simposio annuale dell’Organizzazione mondiale del commercio, 2005, Renato Ruggiero, direttore generale dell’Organizzazione mondiale del commercio dal 1995 al 1999).
(L’autore è stato componente della Rappresentanza diplomatica d’Italia presso le Organizzazioni internazionali di Ginevra)
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