Solo 45 giorni a Downing Street, tanto è durato il mandato di Liz Truss come primo ministro e come leader del Partito conservatore. “Hanno poco da prendere in giro noi italiani” ci ha detto in questa intervista Claudio Martinelli, professore di diritto pubblico comparato e diritto parlamentare all’Università di Milano-Bicocca ed esperto del sistema giuridico britannico, “che veniamo sempre citati dagli inglesi come esempi di instabilità politica, adesso che loro hanno battuto ogni record negativo di stabilità politica con il governo più breve della storia inglese”.
Liz Truss paga il mancato supporto del suo stesso partito, che già durante il Tory Contest, in cui si doveva decidere chi avrebbe preso il posto di Boris Johnson, aveva supportato l’ex ministro delle Finanze, Rishi Sunak, ma soprattutto paga i clamorosi errori commessi in fase di strategia economica: “Contro di lei non si sono mosse le opposizioni e i sindacati, ma i mercati finanziari, cosa che per un primo ministro conservatore è uno smacco insostenibile” ci ha detto ancora Martinelli.
Il governo di Liz Truss è crollato dopo un tentativo di rimetterlo in pista: che cosa ha accelerato la crisi fino a questo punto?
Dal punto di vista giuridico, esiste una norma tra le regole dei Tory secondo cui nel primo anno di premiership e di leadership il primo ministro non può subire la formale sfiducia del gruppo parlamentare. È quello su cui lei sembrava contare.
Invece?
Il problema è che le dinamiche politiche spesso vanno al di là di quelle giuridiche. La Truss ha capito che l’avversione del suo gruppo e non soltanto di coloro che non l’avevano votata nel Tory Contest, ma anche di coloro che dopo i suoi errori di politica economica l’avevano abbandonata, era talmente forte, che a prescindere dal fatto che potesse o non potesse essere sfiduciata era ovvio che non era più in grado di governare.
Anche perché i ministri cominciavano, a uno a uno, a dare le dimissioni, è così?
In realtà, il ministro più importante, Kwasi Kwarteng, l’ha dovuto dimissionare lei. Poi nelle ultime ore si era dimessa anche la titolare degli Interni. La Truss aveva usato Kwarteng come capro espiatorio del programma economico fallimentare e aveva nominato al suo posto Jeremy Hunt, uomo dell’establishment apprezzato dai Tory, sperando in questo modo di mandare un messaggio al suo gruppo parlamentare: lavoriamo insieme. Ma ormai era troppo tardi. Glielo ha fatto capire il presidente del cosiddetto Comitato 1922, che tradizionalmente ha il compito di organizzare un voto di sfiducia quando un ampio numero di deputati gli scrivono che voteranno contro il premier di turno.
A parte l’esperienza fallimentare come primo ministro, lei ci ha già spiegato che Liz Truss non era stata sostenuta dai suoi colleghi durante il Tory Contest. Eppure era una fedele johnsoniana. Come mai?
Teniamo presente che tutti i candidati alla gara interna erano johnsoniani, anche Rishi Sunak. È stata una gara tutti interna. Non che il gruppo conservatore la odiasse, ma semplicemente avrebbe preferito Sunak. Gli iscritti al partito invece hanno voluto lei.
Il leader dell’opposizione, il laburista Keir Starmer, chiede di andare al voto. Ci sarà un nuovo Tory Contest a cui, stando ad alcune voci, potrebbe partecipare anche Boris Johnson?
Anche la leader del Partito scozzese ha chiesto di andare al voto, è logico che l’opposizione lo chieda. Ma fino a quando il primo ministro non va dal Re a dire che il partito non cercherà un altro leader e quindi che venga sciolta la Camera, la Camera non si scioglie. Per quanto possa sembrare incredibile, tutta la partita si gioca dentro al partito conservatore.
Cosa succederà a questo punto?
La voce più accreditata prevede la vittoria di Sunak. Da parte di Johnson non ci sono state dichiarazioni ufficiali, anche perché si trova in vacanza ai Caraibi. Ma siccome gli inglesi hanno il vezzo di trasformare tutto in scommesse, i bookmaker hanno messo in lizza sia Theresa May che Johnson, anche se sono quotati molto indietro a Sunak e ad altri esponenti. Se dovesse davvero accadere che Johnson si ricandidasse, sarebbe molto irrituale. Mancherebbe solo Margaret Thatcher, ma solo perché non è più in vita. La realtà è che la politica inglese è caduta in un grande marasma.
La copertina dell’Economist è arrivata a paragonare il Regno Unito all’Italia, dal punto di vista dell’instabilità politica.
Gli inglesi quando ragionano di parametri politici prendono ad esempio l’Italia come sistema instabile. Un Paese in cui un primo ministro dura meno di un anno. In realtà, hanno battuto il record loro e hanno poco da fare gli spiritosi.
Ma come si è arrivati a questo punto?
È il portato della Brexit.
In che senso?
Attorno alla Brexit il Partito conservatore si è dilaniato per anni tra filo-europeisti e anti-europeisti, con il corpo centrale che votava a seconda del momento. Una volta vinto il referendum, il partito ha continuato a dilaniarsi, anche se i primi ministri hanno cercato di portare a termine la Brexit, cosa che Johnson ha fatto, ma ciò non è bastato a far finire la guerra intestina. Rimangono delle scorie su come riuscire a gestire le conseguenze della Brexit. Hanno cominciato a dividersi per bande politiche, a fare gare personalistiche per arrivare a Downing Street, facendosi gli sgambetti l’un l’altro.
Questo, in effetti, è un vizio molto italiano…
Direi ultra italiano. I partiti tradizionali italiani si dividono in correnti che rispecchiano differenze ideologiche. La sensazione è che qui non ci siano divisioni ideologiche quanto divisioni di tipo personalistico: ciascuno si può giocare le proprie carte per arrivare a Downing Street.
Il mondo economico inglese come sta vivendo tutto questo?
La dimostrazione che lo vive male emerge da quello che è successo quando la Truss ha commesso i suoi errori. Non ha pagato per colpa di scioperi clamorosi, ma è stata fatta fuori dalla reazione dei mercati, e per un premier conservatore questo è il massimo della vergogna. Anche l’establishment economico, che naturalmente è conservatore, comincia a guardare all’opposizione, dove Keir Starmer sta tenendo un comportamento razionale e moderato. Ma più che altro guarda attonito a come si stanno dilaniando al loro interno i conservatori e gli errori finanziari che stanno inanellando.
(Paolo Vites)
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