Tra poco più di tre mesi, il 6 dicembre, si terranno le elezioni parlamentari in Venezuela. Il Paese continua purtroppo nella crisi che ormai ha provocato danni che richiederanno molto tempo per essere riparati. E tutto a causa del regime dittatoriale che dal 1999 domina il Paese e che lo ha ridotto allo stremo, però sempre camuffato da democrazia. Peccato che alle elezioni l’opposizione non avrà molto da dire, ridotta com’è anche dalle faide interne che si sono succedute nell’arco degli anni, ma anche e soprattutto per la repressione che il regime di Maduro ha adottato nei suoi confronti, tanto che a turbare ancor di più il clima elettorale ci hanno pensato gli Usa che hanno minacciato di invadere il Paese (cosa poi dichiarata solo dal senatore repubblicano Marco Rubio, successivamente smentito da alte cariche statunitensi). Ma le ultime dichiarazioni statunitensi, che parlano di uno stretto controllo sull’attività elettorale da parte del cosiddetto G4 (un gruppo che contiene i 4 partiti rappresentanti l’opposizione venezuelana), mirano successivamente a non accettare il risultato delle stesse, già abbondantemente “cantato” nelle passate tornate elettorali che di libero non hanno avuto proprio nulla.



Il problema, anzi uno dei problemi del ricchissimo Paese latinoamericano ridotto alla fame più nera, risiede in un’opposizione che, lo ripetiamo, risulta essere spaccata in due e senza uno straccio di unità. Difatti all’interno del G4 (fronte che raggruppa Voluntad Popular di Leopoldo López, Primero Justicia di Henrique Capriles, Acción Democrática e Un Nuevo Tiempo) è in atto una lotta tra chi vuole partecipare alle elezioni (Capriles) in modo da non ridurle a un plebiscito senza senso e invece Leopoldo López, che propone l’astensione ma allo stesso tempo un saldo controllo sui seggi fatto da circa 100.000 persone. Il Presidente dell’Assemblea Nazionale Juan Guaidò che dopo essere riuscito, ma per poco tempo, a riunire una protesta massiva contro il regime di Maduro diventando il leader dell’opposizione, ha perso terreno perché nella pratica non ha mai goduto di un vero appoggio da parte degli Usa che, specie dopo l’elezione di Trump alla Casa Bianca, si è situato verso l’opposizione più radicale, è anche lui contrario alla presenza al voto: “27 partiti, istituzioni e gli esiliati hanno ben chiaro che non si può legittimare la frode e che è necessaria una strada unica. Non si tratta di convocare una marcia, ma di aumentare la pressione nazionale e internazionale per ottenere la transizione”. Una dichiarazione che mira a costringere il dittatore a trattare, forte di pressioni internazionali. Che però paiono ammorbidirsi e di questo ne ha approfittato, come al solito, proprio Maduro che in questi giorni ha concesso l’indulto a 103 suoi oppositori a suo tempo arrestati, torturati e in attesa di processo.



Ma anche questa ennesima manovra di vernissage democratico, molto simile nelle sue aspettative alle aperture al dialogo con l’opposizione di anni fa, non avrà praticamente nessun effetto se non quello di dimostrare ancor di più come il Paese necessiti veramente di elezioni libere nel vero senso della parola, per operare quel cambiamento necessario a uscire dal tunnel della peggiore crisi istituzionale ed economica della storia latinoamericana.

Tra chi continua a difendere il regime, oltre a Cuba, ci sono sia la Cina (che però come sua tattica diplomatica evita di esprimersi) che la Russia per ragioni meramente economiche: difatti attraverso i vari accordi siglati in questi anni, le due superpotenze hanno in pratica nelle loro mani le ricchezze del Paese che sono inesauribili.



“Questo non è un regime democratico, ma se lascia una crepa dobbiamo metterci la mano e poi metterci il piede, fino a entrare dentro”, ha dichiarato Capriles, aggiungendo: “Nella misura in cui le persone sono più povere, l’unica cosa che rimane è il voto e ciò che i politici devono fare è lottare affinché esistano le condizioni per esercitare tale diritto. È il minimo che possiamo fare”.

Il leader del movimento Primero Justicia è convinto a partecipare alle elezioni anche per il fatto che, attraverso una lettera del Cancelliere Jorge Arreaza, Maduro ha invitato l’Ue e le Nazioni Unite a inviare una missione di osservazione elettorale: “Dal 2006 non lo fanno più. Si spera che accettino e diano i tempi”, ha dichiarato, aggiungendo anche che “questo non significa legittimare il Governo. Nessuno sta dicendo che risolveremo la crisi politica e sociale con le elezioni, quello che dico è che se non combattiamo ce ne pentiremo”.

Come si vede un Paese che ancora non ha ben chiaro come uscire dal tunnel della dittatura, dove sembra, almeno secondo i dati diffusi dal regime, che il Covid non abbia infierito, mosso forse a compassione dalla tragedia, anche sanitaria, già in atto in Venezuela prima del suo arrivo: i casi registrati sono solo 51.000 con 412 decessi.