Cristiana Capotondi, in una intervista al Messaggero, ha commentato l’ennesimo caso di femminicidio, quello della ventiduenne Giulia Cecchettin: “Purtroppo quella di Giulia è una storia che si ripete. I femminicidi sono tragedie talmente simili le une alle altre, che a volte mi chiedo come sia possibile che le persone coinvolte non si accorgano di alcuni elementi riconoscibili, dei segnali. È come se fosse impossibile sottrarsi a un certo meccanismo. E a quell’epilogo”.



I segnali da cogliere, secondo l’attrice, non sono pochi. “Il gesto violento è sempre un allarme. E non intendo solo la sopraffazione fisica, ma anche quella psicologica: tentare di isolare la donna, sminuirla, toccarla nella sua autostima. Il problema è che i primi segnali spesso sono sottostimati e sottovalutati. E poi diventa impossibile da arrestare. Nessuna relazione è scevra da difficoltà, ma bisogna capire la portata dei problemi. Purtroppo molte donne non capiscono. Oppure, purtroppo, non lo credono possibile”.



Cristiana Capotondi: “Giulia Cecchettin? Serve educazione”. Il parere

Cristiana Capotondi è profondamente convinta che le donne possano farcela a fare in modo che Giulia Cecchettin sia l’ultima. “A me non piace chi racconta le donne sempre e solo come vittime: le donne possiedono anche una forte aggressività, e intendo il termine in senso positivo. La forza, la determinazione, la capacità di andarsi a prendere ciò che vogliono dalla vita. Le donne sono perfettamente in grado di fronteggiare la primissima aggressività dell’uomo. Ma non devono cadere nella trappola dell’accettazione”.



Al contempo, però, è necessario l’aiuto delle istituzioni. “Evidentemente c’è un problema di comunicazione sul femminicidio. Bisogna che sia chiaro che non si tratta di storie di persone speciali: sono tragedie che capitano a tutti i livelli sociali, che non appartengono a una determinata estrazione sociale. Possono succedere anche a noi. Il tema è atavico e affonda nella natura dei rapporti tra uomini e donne. Serve un percorso di educazione sentimentale, ma non solo. Bisogna lavorare moltissimo su se stessi”, ha concluso.