LA MORSA DELLA DITTATURA IN BIRMANIA: CRISTIANI ANCORA PERSEGUITATI
L’arresto di un prete protestante battista in aprile ha solo riacceso i riflettori – spenti colpevolmente per troppi anni – sui cristiani perseguitati dal regime in Birmania: la dittatura del generale Min Aung Hlaing, a più di due anni dal rovesciamento del governo di Aung San Suu Kyi, ha stretto ulteriormente la morsa contro i cristiani e le minoranze religiose in generale in tutto l’ex Myanmar.
Nel lungo reportage apparso oggi su “La Croix” viene raccontata la storia del pastore battista Hkalam Samson, condannato a 6 anni di carcere nel giorno simbolico del Venerdì Santo prima di Pasqua: «Le minoranze etniche e religiose sono soggette a persecuzioni, soprattutto gli autori», denuncia Salai Za Uk Ling, attivista birmano in esilio, parlando dell’ultimo arresto di religiosi in Birmania. Il pastore 65enne dello Stato Kachin (nord-est del Paese) – già leader della Convenzione battista Kachin – era stato arrestato a dicembre 2022 con l’accusa di terrorismo, associazione illegale e incitamento all’opposizione alla giunta che ha gettato la Birmania nel caos dopo il colpo di Stato del 1 febbraio 2021.
“CHIESE DISTRUTTE E BRUCIATE”: COSA SUCCEDE IN BIRMANIA
«Accuse inventate da parte di un brutale regime militare», che ha preso di mira «una figura religiosa rispettata per il suo coraggioso lavoro in difesa della libertà religiosa»: così gli Stati Uniti hanno denunciato l’ennesimo arresto di un prete cristiano in Birmania in questi ultimi anni (situazione che già negli scorsi decenni non vedeva certo una situazione semplice, con l’esercito che storicamente non vede di buon occhio le minoranze religiose). Tra le accuse portate a carico di Hkalam Samson la sua visita negli Usa nel 2019 con la denuncia dell’oppressione che l’esercito birmano infliggeva (e infligge) alle minoranze nazionali. «Nello Stato Chin (ovest Birmania), quattro pastori sono stati assassinati. Uno di loro è stato brutalmente assassinato. Un altro è stato rapito», denuncia ancora Salai Za Uk Ling, vice direttore esecutivo della Chin Human Rights Organisation (CHRO).
Non solo sacerdoti e religiosi, dalla caduta e arresto di Aung San Suu Kyi sono state ben 83 le chiese bruciate e distrutte nello Stato: «Quando i soldati entrano in un villaggio, restano in chiesa, ben sapendo che la resistenza Chin non li attaccherà in un luogo sacro. Da un villaggio all’altro, le parrocchie vengono bruciate o vandalizzate. A volte vengono lasciate mine: i pastori hanno perso le gambe», rileva ancora l’attivista al quotidiano francese. Lo scorso 24 dicembre 2021 l’esercito birmano ha massacrato un villaggio cristiano e bruciato vivi 40 cristiani, tra cui bambini e anziani. «Dal colpo di Stato del 1962, i regimi militari che si sono succeduti hanno perseguito politiche discriminatorie nei confronti delle minoranze religiose, compresi i cristiani (circa l’8%), che sono particolarmente minacciati perché rappresentano la minoranza più visibile e identificabile del Paese», rileva l’attivista in esilio Salai Za Uk Ling. In Birmania, dove il 90% dei 53 milioni di abitanti è buddista, «esiste una correlazione tra religione ed etnia: il gruppo etnico maggioritario, i Bamar, è associato al buddismo, mentre le minoranze etniche sono associate ad altre fedi. Poiché il cristianesimo è percepito come un’influenza occidentale, i cristiani sono stati storicamente visti come sleali nei confronti del governo. Le leggi – afferma il vice direttore esecutivo di CHRO – sono state approvate per promuovere un buddismo di Stato. Costruire scuole separate, collegi gestiti da monaci buddisti e concepiti per l’endocrinologia: siamo sempre stati discriminati per la nostra identità religiosa ed etnica, anche sotto la presidenza di Aung San Suu Kyi». Agli attacchi contro i cristiani perseguitati va aggiunto poi lo stato deplorevole del dramma dei Rohingya, il gruppo etnico musulmano dell’Arakan (ovest del Paese), che secondo gli Stati Uniti e il Vaticano, è vittima di un genocidio: «Qualsiasi gruppo che resiste è nel mirino dei militari».