Negli ultimi giorni sono stati almeno tre gli episodi più rilevanti per quanto riguarda la libertà religiosa e la persecuzione dei cristiani: hanno fatto notizia gli attacchi in Etiopia, ad Haiti e in Burkina Faso, rispettivamente il 22, 23 e 25 febbraio.

Il dato che salta subito all’occhio è quello geografico: gli attacchi infatti sono stati fatti nell’Africa orientale, in America centrale e nell’Africa occidentale. Ovviamente, trattandosi di aree distanti e molto diverse tra loro, gli attacchi sono imputabili ad autori diversi. Questo è segno di come la libertà religiosa sia oggi sotto attacco (per questo basta dare un veloce sguardo ai rapporti di Aiuto alla Chiesa che Soffre, ACS) e che la persecuzione ai cristiani sia un fenomeno più attuale che mai e di dimensioni mondiali. Si potrebbero citare altri territori dove la libertà religiosa è violata e i cristiani perseguitati, come dimostrano i casi di Nicaragua e Nigeria, due Stati che non sono nuovi a questo tipo di violenze, e l’elenco potrebbe continuare ancora.



In Etiopia è stato attaccato un monastero ortodosso di Zequala: le vittime sono state quattro monaci, mentre un quinto è rimasto ferito: “L’attacco al monastero è avvenuto nel contesto di un violento scontro tra il governo centrale e un gruppo militante nella regione dell’Oromia” (cfr. ACS). Ad Haiti, in un contesto di violente persecuzioni, nella capitale sono stati rapiti sei religiosi appartenente alla Congregazione dei Fratelli del Sacro Cuore mentre si recavano alla scuola gestita dal loro stesso ordine.



Nello stesso giorno è stato rapito anche un sacerdote, in un episodio distinto. Non sono i primi fatti violenti che succedono nello Stato: come non ricordare l’uccisione di suor Luisa Dell’Orto avvenuta un anno e mezzo fa? La religiosa aveva dedicato la sua missione nell’isola ai bambini e ai baby-schiavi, rimanendo uccisa in seguito ad un’aggressione armata (“Suor Luisa ha fatto della sua vita un dono per gli altri fino al martirio” ha detto papa Francesco).

Infine in Burkina Faso nel villaggio di Essakane sono stati uccisi 15 fedeli in seguito ad un attacco armato effettuato durante la celebrazione dell’Eucaristia. Secondo un’analisi di Alessandro Monteduro, direttore di ACS, per il fondamentalismo islamista il Burkina Faso rappresenta quello che dieci anni fa era l’Iraq del nord. Allo stesso modo Dori, che è situata nel nord del Paese, sembra rappresentare la Mosul di dieci anni fa. Attualmente, proprio come la stessa area irachena del 2014, una gran parte del Burkina Faso, circa il 50%, è quello che dieci anni fa rappresentava il nord dell’Iraq e Dori, nel nord del Paese, rappresenta quello che Mosul era in quegli anni, considerata capitale dello Stato islamico. Oggi una grande parte del Burkina Faso, probabilmente oltre il 50%, è nelle mani di gruppi terroristi jihadisti e i cristiani in modo particolare sono le vittime della loro ferocia (cfr. Avvenire).



Colpisce, in quest’ultimo caso, la reazione del vescovo titolare di Dori, di cui Essakeane fa parte: “In queste dolorose circostanze vi invitiamo a pregare per il riposo eterno di quanti sono morti nella fede, per la guarigione dei feriti e per la consolazione dei cuori addolorati e a pregare anche per la conversione di coloro che continuano a seminare morte e desolazione nel nostro Paese. Che i nostri sforzi di penitenza e di preghiera durante questo periodo di Quaresima portino pace e sicurezza al nostro Paese, il Burkina Faso”.

Come non ricordare in questa dichiarazione del vescovo le parole del Vangelo, unica sorgente da cui possono nascere (se infatti fossero nate esclusivamente da uno sforzo umano, non sarebbero semplicemente possibili): “Amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; poiché egli fa levare il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti (Mt 5,44-45)”? Parole da cui nasce un’ulteriore domanda, relativa invece al martirio: “da dove nasce la forza per affrontare il martirio? Dalla profonda e intima unione con Cristo, perché il martirio e la vocazione al martirio non sono il risultato di uno sforzo umano, ma sono la risposta ad un’iniziativa e ad una chiamata di Dio” (Benedetto XVI).

Quelli citati sono solo tre casi avvenuti negli ultimi tempi, ma presto, è purtroppo certo, ne accadranno altri. Noi cristiani della Chiesa europea, alle prese con secolarismo, post-umanesimo e post-cristianesimo, non possiamo che guardare alle vite spezzate di questi fratelli nella fede e ai tanti che “in varie parti del mondo rischiano la vita per il Vangelo” pregando perché “contagino la Chiesa con il proprio coraggio e la propria spinta missionaria” (Francesco).

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