Il 24 agosto il Burkina Faso è stato teatro dell’ultimo episodio di violenza a sfondo religioso, in cui hanno perso la vita anche numerosi cristiani. L’attacco ha fatto più di 150 vittime, tra cui appunto 22 cristiani ed è uno dei più sanguinosi nella storia del Paese, che ha iniziato a conoscere tali scontri a partire dal 2015, quando si è manifestata nel territorio la presenza jihadista. Tale attacco è stato il terzo subìto in circa 20 giorni, dopo quelli compiuti nella provincia di Nayala (4 agosto), con il rapimento di più di 100 uomini, non ancora ritrovati, e attacchi nei villaggi di Mogwentenga e Gnipiru (20 agosto), che hanno fatto scappare la popolazione.



Il fenomeno dell’attacco alla libertà religiosa è purtroppo dilagante nel continente africano e non solo, con numerosi scontri e spargimenti di sangue. Come è possibile constatare dai report redatti da Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS), la persecuzione ai danni dei cristiani ha raggiunto ormai da anni dimensioni globali. Il caso più famoso dell’ultimo anno, anche per le implicazioni diplomatiche e la vicinanza agli Stati Uniti, riguarda il Nicaragua, ma non vanno dimenticate altre situazioni, come Afghanistan, Corea del Nord, Iraq, Iran, Nigeria ecc.



La libertà religiosa, definita come diritto fondamentale dalla recente Dignitas infinita (n. 31) pubblicata dal Dicastero per la dottrina della fede, è stata dichiarata dal Concilio Vaticano II come un diritto che “non si fonda quindi su una disposizione soggettiva della persona, ma sulla sua stessa natura” (Dignitatis Humanae, n. 2), un diritto cioè inalienabile e intrinseco dell’uomo. Purtroppo, la libertà religiosa rimane a rischio in varie parti del mondo, basti pensare che attualmente sono circa 365 milioni i cristiani perseguitati nel mondo, facendo così del cristianesimo la religione più perseguitata (“ci sono più martiri oggi che nei primi secoli”, Papa Francesco). Un dato non certo nuovo ed in costante crescita.



Non si tratta solamente di attacchi terroristici in zone lontane dal mondo occidentale, quasi che l’argomento riguardasse, a un occhio superficiale, esclusivamente realtà del Terzo Mondo o Paesi oppressi da dittature (come i già citati Nicaragua, Afghanistan e Corea del Nord, anche se l’elenco non è purtroppo esaustivo). Al contrario l’intolleranza religiosa ha varie applicazioni, a volte più violente, altre più fini e travestite di cultura, che il Santo Padre ha più volte definito come “colonizzazioni ideologiche e culturali” (Francesco, 21 novembre 2017), una specie di persecuzione “educata, travestita di cultura, modernità e progresso che finisce per togliere all’uomo la libertà, anche all’obiezione di coscienza” (Francesco, 12 aprile 2016). Queste ultime tipologie in particolare avvengono in Occidente, basti pensare a tutta la questione dell’ideologia woke o alla grande questione antropologica di questi anni.

Addolora pertanto, davanti al sangue dei martiri, il silenzio complice dell’Occidente, convinto che basti colorare i palazzi di rosso un giorno all’anno per tematizzare il problema, e in tutt’altre faccende affaccendato. Ma il silenzio complice non riguarda solamente le vittime delle persecuzioni. Riguarda anche le manifestazioni irrispettose della religione cristiana, nonostante il mantra della tolleranza ripetuto costantemente in questi anni. Tra le manifestazioni più recenti come dimenticare l’inaugurazione delle Olimpiadi 2024 e la rappresentazione dell’Ultima cena, contro la quale i vescovi francesi hanno alzato la voce? O la recente raffigurazione della Madonna fatto dal giornale Charlie Hebdo, che nascondendosi dietro il diritto di satira si arroga il diritto di rappresentare la Vergine con i sintomi del vaiolo delle scimmie ricoprendola dei più beceri insulti? Gesti non solo inappropriati e irrispettosi, ma soprattutto che fanno male.

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