“Seguo con viva preoccupazione quanto sta avvenendo in Nicaragua, dove vescovi e sacerdoti sono stati privati della libertà. Esprimo ad essi, alle loro famiglie e all’intera Chiesa nel Paese la mia vicinanza nella preghiera. Alla preghiera insistente invito pure tutti voi qui presenti e tutto il Popolo di Dio, mentre auspico che si cerchi sempre il cammino del dialogo per superare le difficoltà. Preghiamo per il Nicaragua oggi”. Le parole del Santo Padre all’Angelus del 1° gennaio assumono tutto un altro significato alla luce di quanto accaduto due settimane dopo, domenica 14 gennaio: mons. Alvarez, insieme a mons. Mora, a 13 sacerdoti e tre seminaristi sono stati rilasciati dal regime e sono arrivati in Italia, accolti dalla Santa Sede.



Questa liberazione è indice del fatto che la diplomazia vaticana è al lavoro nel Paese per cercare di raggiungere tutti gli obiettivi possibili per fermare la persecuzione ai cristiani perpetrata dal presidente Ortega, compresa la liberazione di prigionieri politici. È necessario ricordare brevemente la situazione in Nicaragua degli ultimi due anni, per capire la gravità del momento. Attualmente il Paese non ha relazioni ufficiali con la Santa Sede, avendo ritirato il gradimento al nunzio mons. Sommertag e avendogli imposto di lasciare il Paese. La sala stampa vaticana aveva risposto il 12 marzo 2022 definendo tale misura “incomprensibile perché nel corso della sua missione S.E. Mons. Sommertag ha lavorato con profonda dedizione per il bene della Chiesa e del popolo nicaraguense, specialmente delle persone più vulnerabili, cercando sempre di favorire i buoni rapporti tra la Sede Apostolica e le Autorità del Nicaragua. Va ricordata, in particolare, la sua partecipazione come testimone e accompagnatore del Tavolo di Dialogo Nazionale tra il Governo e l’Opposizione politica, in vista della riconciliazione del Paese e della liberazione dei detenuti politici”. Dopo lo strappo politico/diplomatico c’è stata anche l’accusa ai vescovi e ai sacerdoti, nel maggio dello stesso anno, di organizzare un colpo di Stato, accusa ribadita dallo stesso Ortega che, pochi mesi dopo, è arrivato addirittura a includere nella presunta cospirazione papa Francesco.



La dittatura ha proseguito nelle accuse alla Chiesa arrestando vescovi, sacerdoti e seminaristi e cacciando dal Paese molte realtà cattoliche, non riconoscendone più la personalità giuridica: esemplare in questo senso era stato il caso delle Missionarie della Carità di Madre Teresa di Calcutta. L’ultimo fatto, in ordine di tempo, riguarda invece il divieto dei presepi viventi in luoghi pubblici, relegandoli nelle chiese. Tale divieto segue tanti altri ordini simili degli anni precedenti (cfr. Aiuto alla Chiesa che Soffre).

In questo contesto la liberazione degli ostaggi è un passo sotto certi aspetti inaspettato, anche se il fatto che il Pontefice si fosse espresso pubblicamente aveva forse acceso qualche speranza. È però necessario ricordare che vescovi, sacerdoti e seminaristi anche se liberi sono pur sempre fuori dal loro Paese, in esilio: si può parlare di liberazione ma non di libertà.



Purtroppo il Nicaragua non è certo l’unico Paese in cui esistono le persecuzioni; come ogni anno nel periodo natalizio molti cristiani sono stati uccisi. Quest’anno è stato il turno della Nigeria: a Bokkos, nello Stato di Plateau, sono state prese di mira numerose comunità cristiane dal 23 al 26 dicembre, con la morte di più di 170 persone, colpevoli solamente di credere in Gesù Cristo. Come riferisce ACS, ci sono stati attacchi in circa 26 comunità: “Per coloro che credono che questo conflitto non sia religioso, quest’ultimo attacco dimostra che si tratta chiaramente di un conflitto religioso. Il fatto che abbia avuto luogo a Natale e che i cristiani siano stati deliberatamente presi di mira in una comunità mista, in cui i musulmani non vengono attaccati, manifesta chiaramente le caratteristiche di un conflitto religioso (tra i pastori Fulani, a maggioranza islamica, e gli agricoltori locali, principalmente cristiani)”.

Davanti a questi fatti di Nicaragua e Nigeria, che purtroppo sempre più accadono nel mondo la maggior parte delle volte senza che abbiano un risalto pubblico, occorre fare memoria della Lettera a Diogneto: “I cristiani vivono sulla terra, ma hanno la loro cittadinanza in cielo […], amano tutti, e da tutti vengono perseguitati. Anche se non sono conosciuti, vengono condannati; sono condannati a morte, e da essa vengono vivificati”. E, anche qui in Europa, dove la persecuzione ha forme più culturali, questi fenomeni sono tristi occasioni per comprendere sempre più la natura comunionale intrinseca alla Chiesa (cfr. 1 Cor 1,12-13), oltre che a ricordare quella che è la presenza del cristiano nel mondo, che nel Vecchio Continente viene oscurata in vari modi: “I cristiani rappresentano nel mondo ciò che l’anima è nel corpo” (lettera a Diogneto).

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