Cristina Cattaneo è stata presentata da Fabio Fazio come la donna che ha trovato la pagella cucita all’interno della giacca di quel ragazzo migrante di 14 anni annegato nel Mediterraneo. Il medico legale racconta l’importanza di dare un’identità a un cadavere, soprattutto per la sanità mentale dei vivi, dei parenti. La donna è stata quindi chiamata a fare un lavoro importante per riuscire a riconoscere i migranti morti per raggiungere l’Europa. La Cattaneo spiega che non sono tanti quelli che si è riusciti a identificare, ma ci sono centinaia di parenti che anche dalla Mauritania si sono fatti avanti per cercare i loro cari di cui non hanno avuto più notizie. L’attività della dottoressa è anche importante dal punto di vista storico, visto che ha lavorato sulla salma di Sant’Ambrogio, patrono di Milano. (aggiornamento di Bruno Zampetti)
IL NUOVO LIBRO
Certamente è un’ospite un po’ insolito, visto il lavoro che fa, ma anche Cristina Cattaneo siederà alla scrivania di Che tempo che fa nella puntata di oggi per essere intervistata da Fabio Fazio e parlare del libro “Corpi, scheletri e delitti. Le storie del Labanof”, che uscirà tra pochi giorni. Si tratta di un volume dedicato ai 25 anni del Laboratorio di antropologia e odontologia forense (Labanof appunto) dell’Università degli Studi di Milano diretto proprio dalla Professoressa di Medicina Legale. Forse il suo nome non è noto al grande pubblico, ma lo sono i casi di cui si è occupato il Labanof, come quelli di Yara Gambirasio, Serena Mollicone, Elisa Claps, Stefano Cucchi e Davide Rossi. Tuttavia la stessa Cattaneo, in un’intervista al Corriere della Sera, aveva detto: “Voi giornalisti mi fate imbestialire con questa mania dei delitti celebri. Se a tutti i morti fossero riservate le stesse attenzioni, il mondo sarebbe un posto migliore”, “non esistono autopsie di serie A e autopsie di serie B”.
CRISTINA CATTANEO, L’ESPERIENZA A MELILLI
In un precedente libro, dal titolo “Naufraghi senza volto”, Cristina Cattaneo aveva raccontato il lavoro svolto alla base Nato di Melilli per identificare una parte dei circa 1.400 migranti morti affogati nel Mediterraneo il 3 ottobre 2013 e il 18 aprile 2015. “Dare un nome ai morti prima di seppellirli è un dovere di civiltà che si assolve soprattutto per i vivi. E un fatto di salute mentale”, aveva detto ancora l’anatomopatologa sempre al Corriere. “I parenti hanno bisogno di piangere su una tomba per elaborare il lutto. Altrimenti impazziscono, com’è accaduto a molte madri degli oltre 8.000 musulmani bosniaci trucidati a Srebrenica”, aveva aggiunto. Non è da escludere che nel corso della trasmissione di Rai 2 l’ospite non parli anche di quell’esperienza, che l’aveva portata anche a cercare di dare un nome al bambino morto in mare e trovato con la sua pagella cucita nella giacca.
L’ATTIVITÀ DEL LABANOF
Uno dei tanti migranti morti nel Mediterraneo rimasti ancora senza nome. “Indossava una giacca leggera. Ho scucito la fodera ed è saltato fuori un foglio prestampato avvolto nel nylon. Era il ‘Bulletin scolaire’ con i voti di matematica, fisica e scienze, vicini alla media del 10. Che aspettative avrà avuto questo quattordicenne del Mali o della Mauritania?”, sono state le parole della Cattaneo. Nell’intervista del quotidiano milanese viene anche ricordato che il Labanof mette in rete le foto dei cadaveri ignoti, in modo che non ci siano “morti di serie B”. “Grazie a queste immagini, nel 2018 le figlie residenti in Croazia hanno riconosciuto il loro padre che era scomparso 20 anni prima”, ha raccontato Cattaneo.