Una ricerca della CGIA rileva che nel 2023 gli artigiani in Italia sono risultati 410 mila in meno rispetto al 2012. In termini assoluti, non arrivano al milione e mezzo. Una diminuzione che riguarda anche il numero di imprese, ora a un milione e 258 mila, con un decremento di oltre 200 mila unità rispetto al 2008, anche se, da questo punto di vista, bisogna tenere in considerazione i cambiamenti apportati dai processi di aggregazione e acquisizione delle società. Un calo, racconta Marco Accornero, segretario generale dell’Unione Artigiani della Provincia di Milano, che non riguarda tutte le regioni allo stesso modo, tanto che in Lombardia si può parlare di stabilità delle professioni artigiane, ma che comunque pone un problema di continuità delle imprese di questo tipo, alle prese con una sempre maggiore difficoltà a reperire personale competente per svolgere le loro attività. Paradossalmente, in Italia ci sono più avvocati (237 mila) che idraulici (180 mila), e se non si pone un rimedio nei prossimi anni sarà sempre più difficile trovare qualcuno in grado di riparare un rubinetto, tubature o impianti igienici. Una corsa contro il tempo che deve fare i conti anche con il calo demografico e che può trovare rimedio, almeno in parte, ricorrendo a personale preparato che arriva da altri Paesi.



Qual è la situazione attuale dell’artigianato italiano?

Il calo degli artigiani è nazionale, ma nelle regioni le situazioni differiscono: in Lombardia, per esempio, c’è una sostanziale tenuta dei numeri. Non c’è una crisi di domanda, di lavoro, ma di offerta; il settore soffre di difficoltà nel ricambio generazionale. C’è un calo demografico e i giovani che si affacciano al mondo del lavoro sono sempre meno. Inoltre, abbiamo un problema strutturale per cui i lavori manuali non attirano in maniera sufficiente gli italiani. Difficoltà in parte compensate da stranieri che, per numero e qualità, non bastano a risolvere questo squilibrio. Un fenomeno grave perché l’artigianato è il fiore all’occhiello del made in Italy: l’abbigliamento, il mobile, il tessile, il lusso.



Una difficoltà che riguarda quindi anche le aziende che si servono degli artigiani?

Rischiamo di far fatica a trovare un idraulico, un elettricista, un serramentista, ma è in difficoltà anche la filiera della subfornitura: le imprese meccaniche che servono l’industria hanno difficoltà a trovare i profili professionali di cui hanno bisogno. Auspichiamo che la riforma della formazione professionale introdotta dal ministro Valditara raggiunga i risultati sperati. Probabilmente, anche se è un po’ un tema ostico, occorre pensare a politiche migratorie mirate per soggetti formati da far venire nel nostro Paese dall’estero. Si dice che nei prossimi dieci anni ci sarà un saldo negativo di 5 milioni tra le persone che usciranno dal mercato del lavoro e quelle che entreranno: numeri drammatici in termini di tenuta del welfare, della sanità e delle pensioni.



Quali sono le professioni che risentono di più di questo problema?

In tutti i settori si registra questa carenza, non c’è giorno che non incontri un artigiano che mi dice che non trova collaboratori. Certamente i problemi più pesanti si trovano nei mestieri considerati più faticosi. Penso alla panificazione, alla pasticceria perché richiedono di lavorare di notte, alla metalmeccanica perché c’è un po’ di snobismo, una certa ritrosia a non volersi sporcare le mani. Anche acconciatori ed estetiste fanno fatica a trovare personale: sembra strano, ma succede a Milano, città della moda. Sono mestieri che richiedono prestazioni di sabato e domenica, che non vengono avvicinati per motivazioni relative alla conciliazione vita privata-lavoro. Un tema che si è accentuato dopo il Covid. Il problema non è economico: le retribuzioni sono buone, c’è più domanda rispetto all’offerta e tendono a essere superiori a quelle del contratto nazionale di lavoro e anche a quelle impiegatizie.

Ma veramente faremo sempre più fatica a trovare un idraulico?

Sicuramente, anche perché sono professioni che richiedono anni di apprendimento sia teorico che pratico. Le nuove leve che stanno apprendendo il mestiere sono meno di quelle che usciranno. Già ora le imprese trattengono in tutti i modi i loro pensionati chiedendo loro di collaborare qualche ora al giorno o qualche giorno alla settimana.

Siamo già in una situazione limite, bisogna introdurre qualche cambiamento subito?

Non dico che siamo al punto di non ritorno, ma sono più le aziende che cercano dei lavoratori di quante siano quelle che si offrono: ora è il lavoratore che sceglie l’azienda e non il contrario. La formazione professionale è fondamentale così come l’esperienza. Siamo favorevoli alle novità introdotte da Valditara, anche per quanto riguarda l’ITS. C’è comunque un problema di numeri che va affrontato velocemente: ogni anno le nascite calano.

Rischia di modificarsi quindi anche il nostro tessuto produttivo, storicamente basato sulle piccole e medie industrie?

Non so se si può dire che sta già cambiando, ma in prospettiva succederà senz’altro. Il nostro made in Italy avrà sempre più difficoltà a far fronte alle richieste, credo che molte produzioni di grandi imprese della moda, dei mobili, si rivolgeranno sempre di più all’estero, ma questo vuol dire perdere Pil e perdere il vero cuore del made in Italy: il gusto per la precisione e la qualità che hanno i nostri lavoratori.

(Paolo Rossetti)

 

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