I mercati crollano perché “rallenta l’economia americana” e questo fatto, messo nella giusta prospettiva, sarebbe sufficiente per spiegare la paura di questi giorni. L’economia infatti rallenta mentre la politica fiscale di Washington non è mai stata così espansiva dalla Seconda guerra mondiale. Non solo, a dicembre del 2023, prima di sei mesi entusiasmanti per i mercati e di due trimestri di crescita sopra le attese, il mercato scontava sei tagli dei tassi per il 2024 nei fatti anticipando gli effetti di un taglio della Fed e regalando agli investitori sei mesi di condizioni finanziarie favorevoli. Oggi dall’economia americana arrivano segnali di rallentamento che però non sono univoci.



Non è una questione di fare una previsione sul futuro, ma di aggiungere pezzi del puzzle perché ieri i dati sui servizi di questa economia che si appresta a entrare in recessione di tutto davano conto tranne che di un rallentamento e di un raffreddamento dei prezzi. Anzi, l’esatto opposto come si vede anche in Europa presa d’assalto in questi mesi da turisti di quella che sarebbe un’economia a pezzi. Si dirà che questi sono dati passati e che quello che conta è quello che arriva, ma la questione rimane. Il ciclo di espansione dei servizi è incredibilmente longevo e i profitti delle imprese negli ultimi tre anni sono arrivati a livelli che non si vedevano dal 2006 e in alcuni casi da prima.



Si riflette sull’impatto che un crollo dei mercati avrebbe sull’economia senza considerare che tre anni di rialzi senza sosta hanno impattato crescita e prezzi contribuendo a prolungare un ciclo di espansione che non sembrava avere sosta. Riassumendo. La politica fiscale americana, il “deficit”, è rimasto espansivo come raramente si è visto nelle ultime quattro generazioni nonostante le performance economiche, misurate con il Pil, rimanessero più che positive. La Fed ha iniziato il suo ciclo di rialzi con un ritardo notevole. La violenza con cui i mercati hanno anticipato i tagli delle Banche centrali ha consentito ai mercati di continuare a salire. I dibattiti che appassionavano il meglio del meglio degli economisti americani negli anni ’90 sugli effetti inflattivi dei mercati azionari e dei prezzi immobiliari oggi, purtroppo, non sono più di moda.



Il prezzo di tutto questo si è manifestato con l’inflazione e il rialzo dei prezzi ha prodotto un quadro in cui i consumatori non riescono più a comprare i prodotti. Valga su tutti il mercato delle auto. Le valutazioni degli asset finanziari e la crescita che incorporano non sono più sostenute dai redditi.

Qualsiasi tentativo di previsione di quello che succederà nelle prossime settimane dovrebbe almeno esplicitare le assunzioni sulla reazione della Fed e del Governo americano. Se la Fed taglia aggressivamente i tassi e se il Governo americano espande ulteriormente il deficit alla fine anche la “crescita” riparte e con essa anche l’inflazione. Il limite delle politiche monetarie degli ultimi quattro decenni è stato intanto messo a nudo proprio nell’economia che più le ha interiorizzate e cioè il Giappone. L’economia asiatica ha dovuto alzare i tassi perché il crollo dello yen minacciava di causare rialzi dei prezzi. È singolare che il cerchio si chiuda dove si è aperto negli anni ’80 e cioè con l’esperimento monetario giapponese. Le contraddizioni di questi esperimenti sarebbero emerse ben prima se non fosse stato per l’enorme spinta deflattiva rappresentata dalla globalizzazione e dalla Cina.

Uscire da questo schema in cui, per evitare un crollo, si dovrebbe, di nuovo, portare i tassi reali in territorio negativo, espandere il deficit per poi pagare con l’inflazione non è per niente facile. Non è una tecnica economica che può risolvere il problema, ma solo la politica nella misura in cui i possessori di asset finanziari devono contribuire alla soluzione accettando un taglio. Le performance entusiasmanti delle borse, sostenute da queste politiche “per i poveri”, hanno premiato molto più che proporzionalmente le fasce di popolazione investite sui mercati.

Quello che accade in queste ore è destinato a rimanere un mistero irrisolvibile se ci si dimentica di quello che è accaduto negli ultimi tre anni: prezzi in salita, innanzitutto e soprattutto dei beni finanziari, molto più dei redditi sostenuti, finché è stato possibile, da politiche fiscali insostenibili nel lungo periodo. Oggi i nodi vengono al pettine e le domande si spostano inevitabilmente su quello che faranno Governi e Banche centrali da qua in avanti.

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