I mercati ieri, senza esclusioni, hanno avuto una delle peggiori performance delle ultime settimane con cali vicini al 4% per tutti i principali indici europei. A muovere i mercati sono gli annunci di nuovi “lockdown” che stanno interessando con diverse intensità i principali Paesi europei. Gli annunci sollevano diverse questioni. La prima e più evidente è che ormai ci sono pochissimi dubbi sulle conseguenze economiche di queste misure; il calo del Pil italiano del secondo trimestre e del 2020 testimoniano cosa comporti chiudere interi settori dell’economia. L’impatto sul Pil e sul debito non hanno sostanzialmente eguali nelle serie degli ultimi decenni. Questa però è solo una parte del problema. Spegnere un settore dell’economia, per esempio il turismo o la ristorazione, non è un “una tantum” che poi si riassorbe magicamente se e quando l’economia riapre. Molte attività in Italia non hanno mai riaperto dal lockdown e oggi molte altre richiudono con la differenza che versano in condizioni già molto gravi. Questa constatazione ci aiuta a capire un secondo ordine di valutazioni e cioè le conseguenze durature dei lockdown.



Un conto è chiudere per due mesi e sperare che poi tutto torni alla normalità in tempi, più o meno, brevi, un altro è immaginare uno scenario in cui l’economia europea chiude per altri due mesi e poi forse richiuderà ancora un numero imprecisato di volte nel medio termine. Questo significa che un numero elevato di attività semplicemente non riaprirà mai più soprattutto in assenza di contributi pubblici e in sistemi con una pressione fiscale e burocratica pesante. I mercati hanno assunto o sono stati indotti ad assumere che il lockdown primaverile, arrivato con intensità diverse tra i vari Paesi europei, fosse un una tantum mentre oggi diventa una prospettiva ignota ma dalle conseguenze economiche note. Il conto della crisi gestita a colpi di “lockdown” è astronomico non tanto nel prezzo da pagare, ma in termini di distruzione di attività e capacità produttiva. Aggiungete a tutto questo le conseguenze sulla propensione all’intrapresa. Tutte le stime di Pil sul 2020 e sul 2021 uscite in queste settimane assumevano che non ci sarebbe stato un altro lockdown.



Il conto, per la cronaca, non si cura con una “patrimoniale”; questa è un’altra illusione che bisognerebbe sfatare. La patrimoniale è un “una tantum” che non può nulla contro la scomparsa di interi settori economici semplicemente perché, a quel punto, il catino continua a perdere e l’unica soluzione è una riduzione permanente dei costi/servizi. Uno shock come il lockdown si può curare con una patrimoniale solo se il lockdown rimane un evento puntuale, circoscritto, che ha avuto un inizio e una fine; se invece si perpetua, allora la medicina deve essere un’altra. Ed è molto più amara.



A margine di quello che è successo ieri vorremmo far notare che ancora una volta il mercato reagisce, tra le altre cose, comprando dollari e vendendo obbligazioni statali italiane. Oggi forse questa reazione non riflette più solamente una sfiducia nella coesione della costruzione europea o nella sua efficacia. Tutti hanno potuto osservare che uno dei pilastri dell’Unione, la libertà di circolazione di persone e capitali, sia finito nel giro di qualche settimana con lo scoppio della pandemia. Oggi però si aggiunge un altro elemento. Gli Stati Uniti di Trump non sembrano avere nessuna voglia di lockdown all’europea; una misura che si può evitare imparando a convivere con un virus che non è più sconosciuto come a marzo e di cui oggi si sa molto. La reazione europea ha senso solo ipotizzando un vaccino in tempi rapidissimi. Invece, se il vaccino non ci fosse prima dell’autunno del 2021 o del 2022, il prezzo della strategia europea è semplicemente insopportabile perché vorrebbe dire fare lockdown intermittenti per 12 o 24 mesi. Sempre ammesso che il vaccino arrivi.