L’ultima variante del Covid che, secondo alcuni commentatori, metterebbe in crisi la protezione data dal vaccino, ieri ha fatto sprofondare i mercati. Pfizer, che invece ieri saliva, ha promesso di essere in grado di produrre un vaccino a prova di variante in 100 giorni e poi di essere in grado di mettere in produzione 4 miliardi di dosi nei primi dodici mesi. Evidentemente la promessa non può placare i mercati per due ragioni: la prima è che si aprirebbero molti mesi senza “copertura” e la seconda è che nessuno può escludere, a questo punto, che, finita la nuova campagna vaccinale, si torni al punto zero con l’emersione di una nuova variante.
Agli investitori non importa che sia troppo presto per tirare le conclusioni più pessimistiche sul nuovo capitolo della pandemia; ciò che importa è il periodo di incertezza che si apre e che è in contraddizione rispetto a uno scenario di “ritorno alla normalità” che era stato incorporato senza troppe disamine sulla scorta di ampie immissioni di liquidità. I “lockdown”, “le restrizioni” o, semplicemente, gli effetti della paura sui consumatori sono molto negativi per l’economia e, in particolare, per le piccole e medie imprese industriali. L’elenco dei settori che soffrirebbe è abbastanza lungo.
Fino a qualche giorno fa il mercato si interrogava sulle prospettive dell’inflazione e sulla velocità dei rialzi dei tassi in un’economia che comunque stava recuperando. Erano due interrogativi che mettevano in crisi le Banche centrali perché l’economia pubblica e privata portava ancora i segni della pandemia e perché i mercati avrebbero subito l’impatto di un cambio di paradigma; in questo senso un rallentamento della domanda sgonfia l’inflazione, esattamente come a primavera 2020, e tampona il problema delle Banche centrali che non devono più giustificarsi con un’opinione pubblica che comincia a “toccare” gli incrementi; l’esigenza di “sostenere l’economia” in ogni caso prende il sopravvento. È una “soluzione” di breve periodo che non è neutrale per le prospettive di medio-lungo termine.
I vuoti d’aria della domanda fanno vittime nel sistema produttivo; le aziende che si rendono conto di non poter fare previsioni minimamente attendibili riprogrammano la produzione al ribasso mentre le Banche centrali continuano a stampare. Si riproporrebbe lo stesso schema degli ultimi 12-18 mesi che si innesta su una situazione peggiore di quella di partenza; alla fine il problema, al netto di un respiro di breve periodo, è più grande Possiamo, ovviamente, decidere che tutto questo sia inevitabile per fermare la pandemia, ma non ci sono più dubbi sulle conseguenze sociali ed economiche che consegnano una nuova normalità radicalmente diversa in cui la tentazione di politiche che espandono a dismisura il ruolo pubblico penalizzando il ceto medio e i risparmiatori diventa concreta.
Il mercato non ha potuto fare altro che comprare uno scenario di nuovi lockdown e restrizioni; ripetere la stessa scommessa sulle riaperture e la normalizzazione sarà difficile però se lo scenario di ieri si dovesse materializzare. Le Banche centrali escono momentaneamente dall’angolo, ma se gli ingredienti non cambiano il problema inflattivo di questi ultimi mesi tornerà più forte di prima; l’espansione del ruolo dello Stato rimane un elemento di discussione serio. Resta il sospetto che nello schema applicato dall’inizio della pandemia la soppressione della domanda diventa una tentazione irresistibile per la politica che può prendere tempo dando la colpa alla “mutazione”. L’antidoto non è senza rischi, ma è uno solo: responsabilità personale e più libertà possibile. Senza questo è un’inesorabile discesa verso il “modello cinese”.
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