I numeri che ci hanno consegnato i mercati ieri sono da libri di storia. Numeri che non si vedevano dal 2008, fallimento di Lehman Brothers, e performance peggiori persino di quelle registrate dopo l’11 settembre 2001. Il mercato ha incorporato uno scenario in cui il coronavirus si diffonde mettendo sotto pressione sistemi sanitari e statali. Il crollo del prezzo del petrolio è un capitolo, certamente importante, di questa storia nella misura in cui il problema è lo shock sulla domanda di petrolio a causa della recessione. Ai nostri fini vorremmo sottolineare alcuni fatti.



Il primo è il comunicato stampa pubblicato dal ministero dell’Economia ieri mattina in cui si diceva che “nel richiedere un’autorizzazione a incrementare l’indebitamento netto il Governo si è impegnato a riprendere il sentiero di consolidamento del bilancio non appena sarà possibile”. Questo è il messaggio che si pensa si debba mandare ai mercati secondo la teoria dell’austerità e dell’Unione europea degli ultimi dieci anni, ma è l’ultima cosa che il mercato vorrebbe sentire. Di fronte alle pesanti ripercussioni economiche cui si sta assistendo l’unica cosa che si deve dire è che si farà di tutto per preservare il tessuto economico e la produzione perché se saltano quelli il debito diventa un mostro contro cui non si può niente. Vuol dire che non si è imparato niente né dall’esperienza del 2008, né, soprattutto, da quella del 2012 con il debito su Pil esploso causa recessione. Con quello che faranno le banche centrali nelle prossime settimane la differenza sta tutta tra chi, coperto dalla sua banca centrale, fa debito preservando la sua economia e chi no.



Il secondo elemento è il silenzio delle istituzioni europee. La Federal Reserve si è fatta sentire non solo settimana scorsa, ma con ancora più forza ieri. Oggi servirebbe il whatever it takes che copra le economie più fragili dell’eurozona altrimenti si assisterà al collasso del mercato interno europeo e all’esplosione delle differenze che ci sono dentro l’area monetaria. Oggi l’Italia ha lo stesso cambio della Germania, che si rivaluta contro il dollaro, e uno spread che sta esplodendo. Non solo. L’Italia dovrebbe alzare le tasse. Crediamo che non sia rimasto più nessuno al mondo a sostenere che questi fenomeni appartengano a un’unione monetaria funzionale e soprattutto che dimostra resilienza in fasi di stress. Anzi, emerge ancora una volta che la costruzione europea sottoperforma proprio in fasi di stress e quando servirebbe di più. Come dopo la crisi del 2008.



Il terzo elemento è questo. Ieri, dopo una lunga riunione, il Governo tedesco ha varato un pacchetto di stimoli all’economia che vale meno dello 0,1% del Pil all’anno. È il nulla rispetto a quello che sta accadendo ed è illuminante rispetto a tutte le discussioni sull’Europa che cambia dall’interno e sui pii desideri di chi spera che l’Europa, date le circostanze eccezionali, dovrà cambiare. Non solo non cambia niente, ma rimangono in piedi tutti gli strumenti di competizione “cattiva” interna. A questo punto ci si deve onestamente chiedere quali siano le condizioni, sospettiamo capestro, a cui l’Europa si attiva e se, forse, non ci si muova già nel dopo. Lo stimolo verrà fatto fuori e non dentro l’unione.

Il quarto elemento è lo scontro diplomatico scoppiato ieri che vede contrapposti da un lato la Germania e dall’altro Svizzera e Austria. Ce lo riporta, tra gli altri, Bloomberg. Il ministro dell’Economia austriaco ha chiesto che la Germania consegni le mascherine mentre l’ambasciatore svizzero si sarebbe fatto sentire con l’omologo tedesco. Citiamo le dichiarazioni austriache: “Non è possibile che la Germania si rifiuti di consegnare prodotti all’Austria solo perché stoccati in Germania”. “Questi prodotti sono per il mercato austriaco e mosse unilaterali da parte della Germania causano solo problemi negli altri Paesi”. Questi comportamenti costituiscono una violazione delle regole più elementari dell’Unione europea ed è significativo che scoppino tra due Paesi altrimenti alleati.

Il modello europeo non è incentivato a cambiare ed evolvere per il meglio in fasi di questo tipo che anzi esasperano tutte le contraddizioni del modello ed evidenziano quanto fragile sia il sentimento europeo se mai ce ne fosse ancora bisogno. Di tutto questo bisognerebbe tenere conto e arrendersi all’evidenza dei fatti che succedono più che a ideologie. Oltretutto la crisi dell’Europa e del suo modello economico finanziario è in questi giorni un tema di cui si discute sui principali media internazionali con la voce di commentatori storici dei mercati.

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