Ieri i mercati finanziari europei e quelli americani hanno vissuto una delle giornate peggiori delle ultime settimane con cali diffusi sia nel comparto azionario che in quello obbligazionario. Da un lato, i mercati hanno assimilato la novità di mercoledì sera con la Federal Reserve che sposta il tasso di interesse atteso per il 2023 di oltre 50 punti base, dall’altro, registrano l’impegno della Bce a contrastare l’inflazione alzando i tassi nonostante il rallentamento economico e in particolare l’indebolimento dell’attività manifatturiera.
La tranquillità degli investitori è turbata perché viene meno la convinzione sull’esistenza della rete di sicurezza delle banche centrali. Se arriva la crisi o la recessione, questa è la convinzione, le banche centrali, a partire dalla Fed e a ruota dalla Bce, dovranno fermare il rialzo dei tassi e magari iniziare a tagliarli prima di quanto si attende. Questa è la sicurezza che gli investitori consciamente o inconsciamente hanno dopo 14 anni di politiche espansive continuate anche in fasi del ciclo economico che avrebbero permesso approcci meno accomodanti.
Le banche centrali oggi considerano, in particolare, due fenomeni: un mercato del lavoro in salute con i tassi di disoccupazione schiacciati sui minimi e un’inflazione ancora sensibilmente superiore al 2%. Il rialzo dei prezzi scende lentamente e rimane il rischio di una seconda fase di incrementi perché molte imprese e molti settori hanno assorbito l’incremento dei costi passando al consumatore finale solo una parte. Il rialzo dei tassi di interesse, la compressione dei margini societari e l’indebolimento dei consumi mette le imprese nella condizione di dover passare al cliente finale una quota maggiore dell’incremento dei costi. Il mercato del lavoro è in salute, ma i salari reali, soprattutto in Europa, soffrono l’incremento dei prezzi.
Il rischio è quello di trovarsi con un’economia che si inceppa in uno scenario di condizioni finanziarie difficili. La questione chiave è quale livello di recessione sia necessario per far rientrare l’inflazione. Questo è vero soprattutto in Europa che subisce gli effetti della crisi energetica. L’attuale fase economica è difficile da leggere perché è ancora viziata dai lockdown del 2020 e 2021 e dalla voglia di “rivincita”, si pensi al settore del turismo, di consumatori che sono stati chiusi in casa per due anni. Sembra passato un secolo, ma dodici mesi fa, più o meno in questi giorni, si assisteva a cancellazioni record di voli a causa della variante Omicron. Chi può continua a consumare nonostante i rincari delle utenze, dei tassi sui mutui, degli alimentari per fare alcuni esempi. I consumi restano forti oltre quello che sarebbe accaduto in condizioni normali e se non fossimo ancora sotto l’effetto di due anni del tutto anomali in cui i risparmi sono saliti semplicemente perché non si poteva consumare.
Sembra si stia entrando in un terreno inesplorato in cui le condizioni finanziarie peggiorano e i redditi reali calano scavando una voragine sotto la superficie di dati economici che seppur in indebolimento rimangono inspiegabilmente accettabili. In questo scenario la liquidità comincia a ritirarsi dai settori e dalle geografie più deboli in attesa di un chiarimento sul ciclo economico e sulla volontà delle banche centrali di combattere l’inflazione.
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