Il crollo dei mercati di ieri, Milano -4,8%, non ha risparmiato né le borse europee, né quelle americane. Il calo, in America, è stato il peggiore degli ultimi tre mesi. Durante la giornata si è provato a spiegare l’andamento con i timori di una “seconda ondata” di contagi, ma sinceramente la spiegazione appare davvero poco plausibile. La vera questione è come mai i mercati abbiano rimbalzato con così tanta forza e rapidità nelle ultime settimane nonostante i dati economici pessimi, soprattutto nell’Unione europea.



Potremmo convincerci che il mercato stesse scommettendo su una ripresa “a V” in cui queste settimane si riducono a un brutto incubo da cui si uscirebbe velocemente con una ripresa immediata. Al momento questa ripresa a V è una mera ipotesi contraddetta, tra l’altro, dalla scomparsa di interi settori senza che si veda un rilancio. È il caso, tra gli altri, del turismo, con il traffico areo inesistente e senza una vera prospettiva con le regole sul distanziamento sociale in essere. È solo un esempio di molti comparti che in questo momento vivono una crisi profondissima e strutturale. Potremmo anche dirci che l’epidemia è finita oppure che non ha più effetti tangibili sul numero dei morti o dei ricoverati in terapia intensiva, come qualche medico e scienziato suggerisce. Non siamo epidemiologici, ma, epidemia finita o meno, quello che sicuramente non è finito è lo strascico dell’epidemia sulla vita quotidiana di tantissimi lavoratori e persone.



La “scommessa sulla ripresa” è stata in realtà drogata dal fiume di liquidità che le banche centrali hanno riversato sui mercati per evitare che il sistema collassasse. I mercati di fronte a questa massa che investe tutte le asset class non possono che “comprare” anche se nessuno ci crede e molti investitori si tengono i propri dubbi. L’unica alternativa di fronte a quello che succede sarebbe restituire i soldi ai clienti e rimanere fuori dai mercati, altrimenti bisogna “giocare” prendendo come dato l’intervento delle banche centrali e poi dei governi che con misure senza precedenti mettono i soldi, creati dal nulla, nei conti correnti di imprese e famiglie.



Negli Stati Uniti in questi giorni non si escludeva un altro giro di liquidità “regalata” ai consumatori per tenere in vita l’economia reale. Inutile dire che persino da Marte si nota la frammentazione della risposta dell’Unione europea sia nella dimensione degli aiuti che nella rapidità. Il caos politico degli Stati Uniti è certamente più evidente, ma la frammentazione economica e geopolitica a cui si assiste in Europa è un fatto altrettanto certo, anche se meno evidente per il “grande pubblico”.

I mercati sono costretti a comportarsi e a rispondere a input che non sono quelli dell’economia reale e che viaggiano su binari che corrono paralleli. La divaricazione però è sostenibile solo fino a un certo punto. Quando la distanza tra mercati ed economia “reale” diventa insostenibile possono succedere solo due cose: o quello che abbiamo visto ieri oppure un nuovo intervento delle banche centrali e dei governi. In questo secondo caso bisogna convincere i mercati che si stia facendo abbastanza per ricomporre un’economia rotta e stimolare la crescita.

Sullo sfondo rimangono delle domande cui è impossibile rispondere: quando torneremo alla vita normale o, in alternativa, come sarà la nuova normalità? Le decine di migliaia di licenziamenti nell’industria del trasporto aereo, per citare uno dei settori più colpiti, non sono un bellissimo segnale. La seconda domanda è come si possa uscire da questa crisi senza stimoli all’economia prolungati e senza governi all’altezza. Nel breve è possibilissimo che le banche centrali mettano un’altra pezza, ma c’è un limite a tutto, anche alla polvere che si può nascondere sotto il tappeto.

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