Le borse europee ieri hanno registrato la peggiore performance della storia. L’indice italiano ha perso il 17% e dall’inizio della crisi è giù del 40%. I titoli di Stato italiani sono crollati. La Bce ha consegnato una performance incredibile e da non credere. Economisti, commentatori abituati ad anni di conferenza stampa non si sono capacitati della frase con cui la governatrice francese della Bce ha lasciato per strada non solo i Btp italiani, “non siamo qui per far rientrare gli spread”, ma in un certo senso l’economia continentale. Qualsiasi cosa che non sia il “whatever it takes” diventa il pretesto per vendere. Se la Bce non è qui per far rientrare il rendimento dei titoli di Stato dell’eurozona in una crisi che è evidentemente esogena, allora è liberi tutti. Poi c’è l’economia reale che verrà devastata da quello che sta succedendo. Il solito gioco europeo oggi rischia di essere di una miopia colossale.
Mentre i mercati europei, tutti e nessuno escluso collassavano, la domanda che aleggiava è dove finisse l’incapacità di comprensione dell’Europa e dove iniziasse la vecchia e inevitabile voglia di sfruttare le debolezze altrui. Nel nostro caso, autoinflitte da una gestione folle dell’epidemia e da 30 anni di gestione burocratica e statalista dell’economia. Il problema però, stavolta, è così grosso che si rischia di saltare tutti. Mentre assistevamo alla devastazione l’unico motivo di possibile ottimismo era sul versante americano. Gli Usa sono gli unici che ieri come nel 2008 hanno avuto la lucidità di comprendere il problema. Infatti, in serata la Fed portava il Qe ai massimi dalla crisi Lehman. E noi tutti europei dovremmo ancora una volta ringraziare la Fed.
Non è escluso che la Bce torni sui suoi passi, ma il danno di comunicazione è fatto e sarà complicatissimo da riparare. Se c’è un Paese in difficoltà, l’Italia, la difesa non può mai essere una mezza misura che fa dubitare dell’impegno reale al salvataggio. L’unica cosa che funziona è il whatever it takes che sconsiglia chi apre costose posizioni short.
C’è una cosa che però non bisogna assolutamente dimenticare. Nessun Qe potrà mai guarire dal coronavirus. Il mercato oggi vuole e aspetta solo una cosa e cioè buone notizie sull’epidemia e soprattutto buone notizie su metodi per gestirla, perché qualsiasi misura di contenimento, per quanto draconiana, non potrà mai essere la risposta ma al limite solo un tampone a un’emergenza.
Gli effetti dell’epidemia del coronavirus sono sostanzialmente ancora ignoti nel mondo occidentale. Nessuno, tra gli epidemiologi e figuratevi tra gli investitori, sa esattamente quando finirà nei Paesi al centro del problema e come esattamente si svilupperà in quelli che al momento sono ai margini, e cioè tutti tranne l’Italia. Nel caso italiano, quello sicuramente più vivisezionato, tutti comprendono che la chiusura delle attività è una misura tampone che frena l’emergenza, ma non può essere la soluzione. Banalmente, al termine di 15 giorni da tutto chiuso come si gestirà l’inevitabile scoppio di un nuovo focolaio? È chiaro che serve adottare prassi, comportamenti e anche tantissima tecnologia, sulla scorta dell’esperienza coreana con il tracciamento perfetto di tutti i contagiati, che oggi non c’è. Ripetiamo: due settimane di contenimento strettissimo non ci libereranno dal coronavirus.
Capite quindi perché il fermo delle attività e delle imprese è non solo devastante per l’economia, ma pone interrogativi pesantissimi sulla sua sostenibilità. Perché troviate la lattina di piselli al supermercato servono un numero altissimo e complesso di attori. Serve chi raccoglie i piselli, chi li inscatola, chi produce l’alluminio, chi lo mette su un camion che deve funzionare; e poi chi produce i conservanti, ecc.: è chiaro che il blocco delle attività produttive rischia di spedirci in situazioni veramente, ma veramente drammatiche. La sfida vera è continuare a produrre in modo sicuro per chi lavora e poi contenere e curare bene chi si ammala. Altrimenti alla fine di questo panico, in parte giustificato, l’unico modo per mangiare sarà l’autoproduzione.
Evitiamo per cortesia di ascoltare proposte pericolosissime che non tengono conto del fatto che il coronavirus, per quanto gravissimo, è pur sempre la parte di un tutto in cui c’è anche un dopo e anche milioni di persone che nel frattempo, non malate, devono continuare a vivere e a mangiare.