E’ il 6 giugno 1987. David Bowie, che in passato aveva vissuto a lungo a Berlino, si esibisce nella allora ex capitale tedesca. Ovviamente nella parte occidentale. Il luogo prescelto per il concerto ha un significato particolare, davanti al Reichstag, l’ex parlamento nazista che dal 1945 è un edificio semi distrutto, di cui rimane solo l’inquietante scheletro dopo essere stato bombardato e occupato dall’Armata Rossa. Nessuno lo ha più toccato, rimane a monito dell’orrore di quella guerra, anche perché la capitale della Germania occidentale è stata trasferita a Bonn, mentre il Reichstag si trova nella parte occidentale di Berlino. L’edificio si trova poco lontano dal Muro che divide in due da oltre vent’anni la città. David Bowie non ha scelto a caso questa location. La maggior parte degli altoparlanti è infatti diretta verso Berlino est.



Mentre il pubblico pagante della parte occidentale riempie lo spiazzo, dietro al muro lungo il viale Unter den Linden si radunano anche lì migliaia di giovani. Non potranno vedere niente, ma potranno sentire. A un certo punto del concerto, Bowie dice, in tedesco, a voce forte e chiara: “ Salutiamo tutti i nostri amici che sono sull’altro lato del Muro”. Partono le prime note della canzone Heroes. I giovani radunati a Berlino est esplodono di gioia e dimenticano le forze di polizia che li controllano, cominciando a gridare “Giù il muro”. Lo stesso fanno a ovest. Puoi costruire dei muri, ma non puoi fermare la musica.



“Non lo dimenticherò mai. Fu una delle performance più emozionanti della mia vita. Ero in lacrime. Avevano appoggiato il palco al muro stesso, così che il muro fungeva da nostro fondale. Ci era giunto all’orecchio che gli abitanti di Berlino Est avrebbero avuto la possibilità di sentire lo spettacolo, ma non potevamo sapere in quanti fossero. E ce n’erano migliaia dall’altra parte, che si erano radunati vicino al muro. Così fu come fare un doppio concerto. Potevamo sentire le persone dall’altra parte cantare e applaudire. Dio, persino adesso questo ricordo mi toglie il respiro, mi spezza il cuore. Non avevo mai fatto nulla di simile in vita mia, e credo non mi ricapiterà. Quando facemmo “Heroes”… davvero la canzone sembrò un inno, quasi una preghiera. Per quanto bene noi oggi possiamo suonarla, è sempre un po’ come passarci attraverso rispetto all’intensità di quella notte, perché allora significava molto di più” dirà anni dopo l’artista inglese.



Quella sera del 6 giugno 1987 cadde il primo mattone del Muro che due anni dopo, il 9 novembre 1989, sarebbe stato definitivamente distrutto.

Heroes era già l’inno di tutti coloro che odiavano quella costruzione che aveva diviso, separato, ucciso, centinaia di famiglie. La costruzione più spietata nella storia moderna. Quella canzone era stata pubblicata esattamente vent’anni prima nel 1977. Bowie l’aveva scritta nel periodo del suo soggiorno berlinese, quando pubblicò una trilogia di dischi passata alla storia: Low, Heroes e Lodger. Secondo quanto raccontato dall’artista stesso, il testo del brano era stato ispirato da due ragazzi che Bowie, mentre si trovava in un edificio poco distante a registrare, aveva visto vicino al Muro mentre si baciavano. L’accostamento tra la passione e il senso di libertà e il Muro, emblema della divisione, gli ispirò il testo:

Io, io riesco a ricordare (mi ricordo)

In piedi accanto al Muro (accanto al Muro)

E i fucili sparavano sopra le nostre teste

(sopra le nostre teste)

E ci baciammo,

come se niente potesse accadere

(niente potesse accadere)

E la vergogna era dall’altra parte

Oh possiamo batterli, ancora e per sempre

Allora potremmo essere Eroi,

anche solo per un giorno

La canzone non è trionfalistica, anzi. Allora, come tutti, Bowie non pensava che quel muro sarebbe mai crollato. Ma la canzone affermava la possibilità di essere liberi, anche solo per un giorno, anche solo nei nostri cuori, perché le persone possono essere dominate fisicamente, ma nessuno potrà ma dominarne il cuore:

Io, io vorrei che tu sapessi nuotare

Come i delfini, come nuotano i delfini

Sebbene niente,

niente ci terrà uniti

Possiamo batterli, per l’eternità

Oh possiamo essere Eroi,

anche solo per un giorno

Dopo quel concerto, il regime della Germania est avrebbe allentato le redini. Qualche mese dopo, sempre nel 1987, Bob Dylan si sarebbe esibito addirittura a Berlino Est, davanti a centinaia di migliaia di persone, seguito un anno dopo da Bruce Springsteen. Quel regime sanguinario che aveva soffocato per decenni milioni di persone, si trovava incapace di reprimere quel vento forte di libertà che la musica rock stava lanciando. Nella loro logica, questi concerti erano solo dei momenti di concessione di uno spazio in modo che i giovani si potessero distrarre. Successe invece l’opposto. Quelle note di chitarra stavano facendo vacillare il Muro stesso.

Quando David Bowie muore, nel gennaio 2016, l’allora ministro degli esteri della Germania riunita scrive su Twitter: “ “Addio, David Bowie. Ora sei tra gli eroi. Grazie per averci aiutato a far cadere il Muro”.

Purtroppo, trent’anni dopo, i muri sono tornati. Quasi ovunque, nel mondo, si costruiscono barriere di separazione, di divisione, di allontanamento, in senso metaforico ma anche fisico. La paura dell’altro è, trent’anni dopo un momento che sembrava segnare per sempre la fine della separazione, più viva e malefica che mai. Ci vorrebbero dei nuovi “eroi”.