Nel corso del 2022 è proseguita la riduzione della popolazione residente in Italia (-179 mila persone), nonostante il ritorno dei decessi sui livelli precedenti al Covid ed un saldo positivo dei flussi migratori verso l’Italia.

Il resoconto offerto ieri dall’Istat sull’andamento degli indicatori demografici alla data del 1° gennaio 2023 conferma il ritorno delle tendenze strutturali che si erano già consolidate nel corso della seconda decade degli anni 2000 che erano state temporalmente alterate nei due anni precedenti, coincidenti con la pandemia Covid per l’incremento temporaneo delle morti, in particolare delle persone anziane over 70.



Fatta questa premessa, a condizionare il risultato demografico finale continua a essere il saldo negativo tra decessi (713 mila) e nuove nascite (393 mila). Il dato delle nascite rappresenta il record storico negativo a partire dal secondo dopoguerra, distante (-184 mila) dai numeri registrati nel 2008, l’ultimo degli anni caratterizzato da una lieve ripresa della natalità, e inferiore di 27 mila rispetto al 2019. Il tasso di fecondità è precipitato a 1,24 figli per ogni donna fertile, un dato omogeneo su tutto il territorio nazionale. Particolarmente preoccupante perché associato per la maggior parte al ridimensionamento del numero delle donne fertili e all’andamento declinante dei nuovi matrimoni.



La speranza di vita, a 82,6 anni (80,5 per gli uomini e 84,8 per le donne) è tornata a crescere di oltre due mesi rispetto al 2021, recuperando parte dei 6 mesi persi per l’aumento dei decessi nel corso della pandemia Covid.

I nuovi ingressi dall’estero (+361 mila) sono tornati ad aumentare anche rispetto al 2019 (+8,4%), generando un saldo positivo di 229 mila residenti tra le nuove iscrizioni all’anagrafe e le cancellazioni delle persone che si sono trasferite in altri Paesi. Numeri che probabilmente sono influenzati anche dai rilasci dei permessi di soggiorno per i cittadini ucraini ospitati nel nostro Paese nel corso del 2022 a seguito del grande esodo provocato dalla guerra. La popolazione di origine straniera, 5,050 milioni di persone, si è incrementata di 20 mila unità. La crescita degli stranieri risulta sistematicamente sottostimata per via del contemporaneo rilascio delle nuove cittadinanze agli stranieri che hanno maturato i requisiti (quasi 1,3 milioni negli ultimi 12 anni).



La gran parte dei nuovi flussi d’ingresso, circa il 60%, continua a essere concentrato nelle regioni del nord Italia. Una crescita contemporanea a quella delle migrazioni interne al nostro territorio, che hanno coinvolto 1,484 milioni di persone generando un saldo negativo (-55 mila) per quelle residenti nelle regioni del Mezzogiorno e un aumento del 2,2% di quelle insediate nelle regioni settentrionali.

L’effetto combinato dei flussi migratori dall’estero e di quelli interni sul territorio nazionale consente a queste ultime di contenere l’impatto della riduzione naturale della popolazione allo 0,9%, molto al di sotto del 3% registrato nella media nazionale, e che diventa esplosivo (-6,9%) in quelle del mezzogiorno.

Le tendenze demografiche e le caratteristiche delle migrazioni aiutano a comprendere buona parte delle criticità economiche e sociali del nostro Paese, nonché la crescita dei livelli di disuguaglianze di varia natura che non trovano rimedi adeguati . La quota delle persone con più di 65 anni ha superato di gran lunga i 14 milioni, circa un quarto della popolazione equivalente al doppio dei giovani under 14. L’età media, attualmente a 46,4 anni, si avvicina rapidamente ai 50, un limite già superato per le persone in età di lavoro. Sono condizioni che paventano, come già evidente nelle analisi offerte dall’Istat, seri problemi per la rigenerazione della popolazione lavorativa e per la sostenibilità della spesa sociale. L’esodo delle risorse umane dal Mezzogiorno, in particolare di quelle con rilevanti percorsi formativi e motivate a cercare nuove opportunità in altri territori, preclude ogni possibilità di crescita sostenibile delle aree meno sviluppate.

Sono tendenze destinate a peggiorare a causa del declino demografico, e della riduzione delle persone in età di lavoro nel corso dei prossimi anni. Misurano la distanza tra le priorità del Paese e la capacità della classe dirigente di affrontarle in modo adeguato.

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