Sono usciti i nuovi dati della natalità in Italia diffusi dall’Istat. Come prevedibile non c’è nulla di nuovo se non la registrazione del solito crollo delle nascite: anche nel 2023 sono nati meno figli rispetto al 2022, con un tasso di natalità che tocca quota 1,20 figli per donna, a un passo dal record negativo di 1,19 del 1995. Di questo passo i già ristrettissimi margini per far ripartire la natalità, e con essa l’intero Paese, scompariranno.
Il crollo demografico, unito al positivo fenomeno della longevità, è sinonimo del crollo del sistema. Per citare un solo aspetto tra i tantissimi già più volte analizzati, la sanità diventerà sempre più complicata: ci sarà un significativo aumento delle persone che necessiteranno di cure mediche causate da mali relazionati all’età avanzata e ci saranno sempre meno medici e infermieri. Alla domanda di cura che si alza significativamente corrisponde un’altrettanto significativa decrescita dell’offerta. Inoltre, la contrazione del Pil farà sì che il Paese non sia così attrattivo da importare il personale sanitario necessario.
Altri dati del trend negativo sono quelli relativi all’età delle donne al primo figlio, 31,7 anni, circa la stessa età dell’anno precedente, e al calo delle nascite sia per coppie italiane (da 1,33 figli per donna nel 2010 a 1,14 nel 2023) che straniere (da 2,31 a 1,79), seppur le seconde abbiano un indice di fertilità più alto. Il primo di questi due dati mostra come la ripresa sia estremamente difficile se il primo figlio arriva così tardi, biologicamente parlando, mentre il secondo indica ancora una volta come l’apporto della popolazione straniera, una volta integrata, diminuisca significativamente rispetto alla “spinta” iniziale, fino ad arrivare ai livelli delle coppie italiane nel giro di una o due generazioni, com’è logico che sia: non c’è motivo infatti per cui le coppie straniere (o con uno dei due partner straniero), davanti agli stessi ostacoli che impediscono la crescita demografica, dovrebbero fare più figli delle italiane.
In generale bisogna fare i conti anche con una mutata situazione della popolazione femminile in età fertile (fissata convenzionalmente tra i 15 e i 49 anni), sensibilmente diminuita rispetto agli anni del baby-boom: “Oggi, le donne nate negli anni del baby-boom hanno ormai superato la soglia dei 49 anni. Gran parte di quelle che ancora sono in età feconda appartengono all’epoca del cosiddetto baby-bust, ovvero sono nate nel corso del ventennio 1976-1995 durante il quale la fecondità scese da oltre 2 al minimo storico di 1,19 figli per donna” (report Istat). Com’è facilmente intuibile, la presenza di meno donne in età fertile è un ulteriore ostacolo alla ripresa.
Come riporta l’analisi, tra i cali maggiori c’è quello riguardante i primogeniti. Tale diminuzione è del 3,1% rispetto al 2022, mentre i secondi figli diminuiscono del 4,5% e quelli di ordine successivo dell’1,7%. Questo significa, in parte, che calano le famiglie, o le semplici unioni di fatto, con due figli (e in parte quelle numerose con tre figli o più), mentre calano anche le famiglie con almeno un figlio.
Tale situazione permette di leggere il futuro del Paese, tutt’altro che roseo senza interventi decisivi da parte della politica. Le analisi ormai sono famose e i dati sono sempre gli stessi, di anno in anno più gravi. Per questo l’emergenza demografica, ormai lontana dall’essere una novità, deve essere il punto numero uno dell’agenda di qualsiasi Governo, di qualsiasi colore. L’idea delle detrazioni familiari anticipata da alcuni quotidiani e confermata nella Manovra in conferenza stampa è certamente buona, ma da sola non basta, servono molto più dei 5-6 miliardi stanziati: queste detrazioni sono il primo passo di una corsa.
Per un’azione efficace per la ripresa demografica è però necessaria una doppia presa di coscienza: in primo luogo, che ogni risorsa riservata alla natalità non è una spesa ma un investimento. Secondariamente, bisogna ricordarsi che le politiche demografiche necessitano di tempo, prima di essere efficaci. Questo, con tanto colpevole ritardo, è ancora il tempo della semina. Che il raccolto sia buono dipenderà dalle decisioni che si prenderanno.
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