Non arrivano buone notizie per un Paese che drammaticamente invecchia come l’Italia. In base al report di Istat sulla natalità e la fecondità della popolazione residente diffuso ieri emerge, infatti, che nel 2022 le nascite sono state solamente 393.000, 6.916 in meno rispetto all’anno precedente. Si tratta di un nuovo minimo storico, ma Luigi Campiglio, Professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano, evidenzia che «purtroppo non abbiamo toccato il fondo».



Questo perché dal report Istat emerge anche che nel primo semestre del 2023 si è registrato un calo delle nascite pari all’1,9% rispetto allo stesso periodo del 2022?

Non solo. Dico che non abbiamo ancora toccato il fondo perché diversi trend vanno in questa direzione. Basti pensare che l’età media al parto continua a crescere e che diminuisce il contributo alla natalità da parte dei cittadini stranieri. C’è, però, un dato che più di altri è indicativo della criticità che abbiamo davanti: continua a diminuire il numero di donne in età feconda, convenzionalmente fissata tra i 15 e i 49 anni. Questo è il punto chiave.



Perché?

Perché se diminuisce il numero di donne che possono avere figli diventa molto difficile poter aumentare il numero di nascite e riequilibrare la situazione demografica del Paese. Queste donne rappresentano una sorta di patrimonio che continuiamo a vedere diminuire e che non riusciamo a valorizzare. Anche perché c’è un problema di fondo che non emerge dai dati di Istat che stiamo commentando.

A che cosa si riferisce?

Al fatto che da altre ricerche e sondaggi emerge chiaramente l’aumento delle donne che non possono o non vogliono avere un figlio. Nel primo caso, l’ostacolo principale è di natura economica, mentre nel secondo il problema sembra riguardare la mancanza di un’aspettativa di un futuro positivo.



Cosa si potrebbe fare per rimuovere l’ostacolo di natura economica che fa sì che ci siano donne che non possono avere figli?

L’intervento principale deve essere volto a favorire la loro occupazione, accompagnato anche da adeguati servizi per l’infanzia. Più in generale, occorre che i genitori, quindi anche gli uomini, possano avere un lavoro ben retribuito, in modo che vengano meno gli ostacoli di natura economica alla natalità.

Il Governo con la Legge di bilancio ha approvato dei provvedimenti per favorire l’occupazione delle donne madri e consentire a quelle che hanno almeno due figli di avere una busta paga un po’ più alta. Cosa ne pensa?

Si tratta di provvedimenti benvenuti, ma a mio avviso, visto che una delle poche “luci” nel quadro riportato dall’Istat è rappresentato dal fatto che quasi un nato su due nel 2022 è primogenito, sarebbe necessario fare in modo che le misure a sostegno delle madri lavoratrici riguardino anche quelle che hanno un solo figlio. Un’altra cosa importante è fare in modo che queste misure abbiano carattere strutturale.

Per questo servono però non poche risorse…

È vero, si tratta di far comprendere l’importanza che avrebbero. E qui ci riagganciamo a quanto dicevo prima a proposito della mancanza di un’aspettativa di un futuro positivo che fa sì vi siano donne che non vogliono avere figli

Ci spieghi meglio.

C’è un clima non favorevole al mettere al mondo figli, a fare progetti di vita che li contemplino. È un clima culturale che non può cambiare dall’oggi al domani. Un primo passo potrebbe essere, al di là degli slogan politici, valorizzare i bambini nel dibattito pubblico, nella scena pubblica, non solo quando sono oggetto di violenza piuttosto che protagonisti di fatti negativi come sempre più spesso oggi avviene. Se cominciamo da qui sarà anche più facile costruire il consenso necessario a trovare la copertura finanziaria per misure strutturali a favore della natalità.

Cosa ci dicono i dati dell’Istat rispetto all’apporto che l’immigrazione può avere per contrastare la denatalità?

Che senza saremmo messi ancora peggio, ma che non rappresenta la soluzione. Infatti, guardando i dati si nota che le famiglie composte da stranieri è come se acquisissero via via uno standard di vita che non è molto diverso da quello delle famiglie italiane a basso reddito e, quindi, anche nel loro caso si vede un trend discendente della natalità.

Il quadro complessivo non appare, dunque, positivo. Ma il trend può cambiare?

Sì, può cambiare, cominciando dalle piccole cose. Anche misure banali, come un’aliquota Iva agevolata sui prodotti per la prima infanzia, non devono essere cancellate dopo un anno, ma vanno rese stabili. Occorre dare un orizzonte di certezza, altrimenti sarà impossibile cambiare rotta.

(Lorenzo Torrisi)

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