Su La Stampa Lucetta Scaraffia e Maurizio Mori sono recentemente intervenuti sul tema della denatalità. Con ipotesi diverse: per Scaraffia la denatalità è un male legato alla considerazione del figlio come ostacolo sociale. Per Mori è un segno di consapevolezza di quanto sia dura la vita e poco responsabile mettere al mondo altre persone. Sollevo un’obiezione: le due ipotesi possono valere in un mondo fatto di scelte consapevoli e libere. Ma quelle del nostro mondo lo sono? Ho paura di no, per un cambiamento antropologico avvenuto negli ultimi cento anni.



È un cambiamento che ha trasformato il pensare col cervello e col cuore in pensare per numeri, come spiegava Martin Heidegger. A questo Günther Anders aggiungeva il concetto della trasformazione dell’umano in una brutta copia della macchina, arrivando ad invidiare la freddezza e la mancanza di responsabilità delle macchine. Giù giù per una china descritta da Hannah Arendt come “banalità del male”, cioè come vedere sé stessi ridotti ad un ruolo, ad un compito, ad un ingranaggio e fare qualunque cosa (e solo quella) che il compito richiede. Anders intervistò il pilota che aveva sganciato la Bomba su Hiroshima e gli chiese cosa aveva provato. Risposta: Niente, era il mio lavoro.



È un cambiamento che porta ad una sterilità psichica e mentale prima che genitale, tanto è vero che non nascono più grandi idee e grandi personaggi di cui avremmo certezza che le generazioni future si ricorderanno. Se io sono ridotto al mio ruolo, come metteva in guardia Marcuse, è la vittoria della società della performance, liquida, appiattita nei desideri. Le terribili ideologie del secolo scorso erano l’alba di questo insterilirsi umano, col loro mettere lo Stato e “l’eroe” (il “palestrato” diremmo oggi) al centro e culmine della vita, cancellando tutto il resto.

In una società di plastica, di protocolli e di lavoro limitato al mansionario, cioè in una società tecnologica, è oggi una scelta libera procreare o non procreare?



La disattenzione verso i bambini che li vede come intrusi in un mondo appiattito ci dice di no. L’idea astrusa di poterli fare a qualunque età vogliamo, senza che ci spieghino che dopo una certa età (neanche avanzata) è difficile che arrivino, ci dice di no. I fenomeni di violenza, di diffidenza, di dimenticanza verso i piccoli, dalla pedofilia al non lasciarli giocare a pallone per strada, all’assenza forzata dei genitori, al bisogno di seggiolini dotati di allarme per non dimenticarli in auto, ci dicono di no. L’unica “manna” auspicata da tutti sono gli asili nido, cioè un mito di separazione dai genitori (seppur nelle mani di persone spesso bravissime) oltre i quali non si vede altra soluzione per i bambini di 0-3 anni. I rischi dei danni gravissimi dell’assenza, del vuoto, dell’evaporazione dei genitori spiegati da Bowlby, Winnicott, Lacan sono ignorati come fossero sciocchezze.

Semplicemente nella società della tecnica come nuova ideologia non c’è spazio per i figli: non nei budget familiari o statali, ma nella mente del popolo. Perché tutto è calibrato solo sul metro dell’adulto performante e smart. Chi non lo è, semplicemente non ha cittadinanza nelle menti e nelle immaginazioni o nei desideri dell’homo tecnologicus, alla ricerca del nuovo pulsante da premere (e ovviamente da comprare) compulsivamente.

La dice lunga che per i programmi di ripopolazione lo scopo sia passare da 1,2 figli per coppia italiana all’1,8 francese e questo sarebbe il grande successo (che nemmeno rimpiazzerebbe la popolazione, e darebbe un senso di aumento puramente statistico).

Quindi non è una lotta tra chi vuole una cosa e chi un’altra. Semplicemente perché tutti ne vogliono solo una: più tecnologia, come spiega Umberto Galimberti. “Ad una tecnica diventata padrona del mondo non possiamo contrapporre né l’etica né la politica, in quanto l’etica e la politica non possono chiedere alla tecnica, che può, di non fare ciò che può, dato che non si è mai visto nella storia che uno non fa quello che può fare. L’etica quindi diventa patetica nei confronti della tecnica”.

Dunque, non è che alcuni decidono che la denatalità è cosa buona e altri che invece è cosa nefanda. Semplicemente nessuno decide, tutto va da sé. La denatalità “è”. Come spiegavo recentemente in una lezione alla European Pain School, ci sono due fenomeni che non sono misurabili o descrivibili a parole: i bambini e il dolore. Entrambi vengono sempre più ignorati dalla società occidentale, perché è una società che sa solo “far di conto”, cioè considera solo quello che è misurabile. Il resto è in più e ottiene attenzione nella misura in cui è funzionale a chi possiede la tecnica e si vuole per un attimo interessare di altro.

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