Un patto tra Stato e aziende, per realizzare le condizioni che favoriscano la conciliazione famiglia-lavoro e migliorino il contesto per le coppie che vogliono avere figli. Una sorta di Costituente della natalità in cui le istituzioni pubbliche e le imprese, in primis, si confrontino per individuare interventi concreti contro il calo demografico. I numeri del problema, in questi giorni argomento a Roma degli Stati generali della natalità, sono impietosi: nel 2023 il tasso di natalità è sceso a 6,4 per mille (era 6,7 nel 2022) e l’età media delle donne che partoriscono si sta alzando.



I trentenni di oggi, spiega Alessandro Rosina, professore ordinario di demografia all’Università Cattolica di Milano, sono un terzo meno dei cinquantenni: la forza lavoro così si riduce. Per questo, anche le aziende devono dare il loro contributo. Come dimostrano diversi studi, oltre a una società più dinamica, otterrebbero dipendenti più felici e più produttivi.



In questi giorni Save the Children ha stilato una classifica delle Regioni a misura di mamma secondo cui un quinto delle donne esce dal mercato del lavoro dopo la maternità. È soprattutto sulla condizione lavorativa delle donne che bisogna intervenire per favorire l’aumento della natalità?

I figli si fanno insieme. È sbagliata l’impostazione che fa ricadere tutto soprattutto sulle donne. Sia la madre che il padre devono avere del tempo da dedicare ai figli. Certo, le donne non devono essere penalizzate rispetto agli uomini nel mondo del lavoro. In Svezia il gap tra occupazione femminile e maschile è molto basso perché ci sono politiche che favoriscono la condivisione delle responsabilità. Poi ogni coppia decide di organizzarsi come vuole, ma entrambi devono avere la possibilità di lavorare e di restare con i figli.



Per risolvere il problema della denatalità si tende a chiedere interventi principalmente allo Stato. Il lavoro, però, è uno dei temi principali su cui agire: c’è bisogno di coinvolgere di più le imprese?

Se guardiamo ai modelli degli altri Paesi europei c’è un ruolo delle politiche pubbliche di base maggiore che in Italia, ma poi c’è un welfare aziendale, una cultura della conciliazione che permea le aziende. Basta guardare al modello Trentino: l’attenzione alla conciliazione delle istituzioni del territorio e delle aziende è consolidata. La possibilità che ci siano nidi aziendali, di usufruire del part-time senza che venga imposto, utilizzandolo quando ci sono i figli piccoli e tornando al tempo pieno, quando è il caso, incide molto. In Italia due terzi del part-time è imposto dall’azienda, in Europa solo il 25%. Noi abbiamo solo dieci giorni di congedo di paternità, ma le aziende possono allungarlo.

Ci deve essere, quindi, una sinergia tra pubblico e privato, in questo caso le aziende?

Occorre integrare, con una base di pubblico che va a tutti, con condizioni minime di copertura e di qualità e aziende che possono ulteriormente favorire la conciliazione fra vita e lavoro. La qualità della vita porta a essere più fidelizzati rispetto all’azienda per cui si lavora. Ci sono molti studi che dimostrano come le aziende che investono sulla qualità del lavoro e dell’esistenza dei loro dipendenti hanno un ritorno in termini di produttività.

Il nostro tessuto produttivo, però, è fatto principalmente da piccole e medie aziende che non sempre possono avere risorse per creare asili o altri servizi. Cosa bisogna fare allora?

Serve un pubblico che abbia un ruolo ancora più forte, però le grandi aziende possono agire anche a favore della comunità in generale e delle imprese più piccole. Bisognerebbe creare reti di aziende sul territorio in modo che alcuni servizi possano essere garantiti ai dipendenti di tutti.

Come si spiega il ritorno positivo che avrebbero le aziende?

Avrebbero dipendenti più felici, che conciliano lavoro e famiglia. Le aziende così tratterrebbero anche i talenti all’interno delle aziende. Ora faticano a trovare personale, ma per fare restare un giovane serve anche la qualità del lavoro. Il salario e il contratto non sono più sufficienti, conta anche il sistema di welfare aziendale.

Per aumentare le nascite occorrono interventi sistemici e integrati su tanti aspetti dell’organizzazione sociale. La conciliazione famiglia-lavoro rimane, però, il tema principale?

In un Paese con squilibri demografici, abbiamo bisogno di aumentare la platea della forza lavoro: le giovani donne che lavorano hanno bisogno di conciliare l’impiego con la presenza dei figli, altrimenti chi lavora rinuncia ad averne e ci troviamo con una natalità ancora più bassa. Chi rinuncia a un secondo reddito della famiglia si espone al rischio di povertà. La conciliazione famiglia-lavoro, quindi, ha una serie di conseguenze positive: va a favore della natalità, dell’occupazione in generale e in particolare di quella femminile, consente di avere un doppio reddito in famiglia e difende dal rischio di povertà e serve a un Paese con squilibri demografici come il nostro, che a fronte di spese che cresceranno per la popolazione anziana ha bisogno di rendere solida la forza lavoro.

È possibile pensare ad aziende che contribuiscono anche a risolvere il problema della casa? In fondo in passato diverse grandi aziende hanno costruito anche abitazioni per i loro dipendenti: si può pensare a un sostegno pure da questo punto di vista?

Abbiamo bisogno di investire sull’housing sociale. I giovani fanno fatica a staccarsi dalla famiglia di origine perché non riescono ad accendere un mutuo o ad avere affitti abbordabili. Questo li spinge a rimanere nelle case dei genitori o ad andarsene all’estero dove guadagnano di più e spendono meno per l’affitto. Molti non riescono a stare nelle grandi città, dove ci sono più opportunità, soprattutto quelli che arrivano da classi sociali medio-basse. Investire sull’housing vuol dire anche favorire la mobilità sociale delle classi medio-basse. Le aziende possono partecipare a questi investimenti. Se un’azienda realizza produzioni anche di alta tecnologia ma si trova in un contesto in cui di giovani non ce ne sono, farà fatica a generare sviluppo. Depotenziare la presenza dei giovani significa impoverire tutte le realtà che agiscono su quel territorio.

Quali sono le caratteristiche di un piano serio per la natalità?

Deve essere un piano collettivo del sistema Paese, che parta dalla politica ma coinvolga ogni ambito.

La necessità di invertire la tendenza delle nascite è argomento di dibattito da diverso tempo. Ma anche nell’ultimo anno le nascite sono passate da 393mila nel 2022 a 379mila nel 2023. Nel frattempo è cambiato qualcosa nelle politiche per la natalità?

I dati sono peggiorati, ma continuiamo a non avere un piano sistemico e strutturato sull’autonomia dei giovani, l’inserimento nel mondo del lavoro, le politiche abitative. L’età media del primo figlio continua a essere posticipata e l’occupazione femminile continua a essere la più bassa in Europa. Abbiamo fatto passi indietro, avevamo il Family act, l’assegno unico universale, avevano trovato consenso generale in parlamento e adesso questa convergenza sulle politiche da realizzare si è di nuovo dispersa.

Visto che è necessario stringere questo patto fra Stato e aziende, non è il caso di istituire una sorta di Costituente della natalità, per individuare gli interventi da realizzare?

Potrebbe essere una buona idea. Se c’è qualcosa di positivo è che negli ultimi anni è aumentata la consapevolezza delle aziende. Hanno capito che il tema demografico è rilevante, che in un Paese che invecchia e che ha sempre meno giovani e forza lavoro si rischia di indebolire la capacità di crescita e di sviluppo. Il problema diventerà sempre più rilevante: gli attuali trentenni sono un terzo in meno rispetto ai cinquantenni;  andiamo verso la riduzione di un terzo circa della forza lavoro potenziale del Paese. Sarà difficile trovare giovani qualificati da assumere e da trattenere. Potrebbe essere il momento di una grande alleanza fra politica, aziende e società civile per capire come affrontare il tema e realizzare politiche solide, con interventi concreti.

(Paolo Rossetti)

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI