Da lungo tempo nel nostro paese sono in crisi i meccanismi di ricambio generazionale. I nuovi dati pubblicati dall’Istat confermano come la persistente denatalità abbia portato ad esaurire la capacità endogena di crescita della popolazione italiana. I residenti, scesi sotto i 60 milioni, sono in continua riduzione e sempre più verosimile si fa la prospettiva di un dimezzamento entro la fine di questo secolo.
L’Italia, inoltre, è stata il primo paese al mondo a vedere gli under 15 superati dagli ultra 65enni. Quest’ultima fascia d’età ha ora raggiunto l’entità degli under 25 ed entro il 2040 (forse già entro il 2035) supererà anche gli under 35. La denatalità, insomma, sta sempre più erodendo anche la popolazione in età attiva, indebolendo così le possibilità di crescita economica e sostenibilità del sistema di welfare.
Nel confronto con i paesi europei con fecondità più elevata – come evidenzio nel mio libro Crisi demografica. Politiche per un paese che ha smesso di crescere (Vita e Pensiero 2021) – a distinguerci non è tanto un numero di figli desiderati più basso, quanto il fatto che da noi sono più stretti tre nodi che frenano la realizzazione piena dei desideri riproduttivi.
Il primo è da ricondurre al maggior rischio nel nostro paese che la scelta di avere un figlio porti ad un impoverimento economico (rischio che diventa particolarmente rilevante dopo il secondo figlio). Il secondo nodo corrisponde al conflitto tra scelte di vita e di lavoro che porta, soprattutto sul versante femminile, a rinunciare ai figli se si lavora o rinunciare al lavoro se si hanno figli. Non a caso presentiamo nel quadro europeo la peggior combinazione tra bassa fecondità e bassa occupazione delle donne.
Maggiore, infine, è il prolungamento della dipendenza economica dei giovani dai genitori, che porta a spostare sempre più in avanti la formazione di una propria famiglia e l’arrivo del primo figlio. Il fatto di detenere in Europa il record di Neet (under 35 che non studiano e non lavorano) ben rappresenta le difficoltà e gli ostacoli sui percorsi di autonomia e di assunzione di responsabilità familiari per le nuove generazioni italiane.
Questi tre nodi rischiano di diventare ancora più stretti di fronte all’incertezza prodotta dalla pandemia se non si risponde con una nuova visione positiva del futuro, da costruire in modo solido a partire da oggi. Avere un figlio, in particolare, è la scelta che più impegna positivamente nei confronti del futuro, ma ha bisogno di vedersi corrispondere un riconoscimento di valore, sia a livello collettivo che personale, per potersi realizzare pienamente e con successo.
Se vogliamo cambiare il destino del paese ed invertire la curva demografica negativa, prima che sia troppo tardi, serve allora una combinazione tra azione politica (che può arrivare dalle risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza assieme alle misure integrate contenute nel Family act) e un nuovo clima di fiducia che consenta alle nostre scelte di andar oltre noi stessi e dar frutto oltre il presente.
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