Il dato sul Pil del primo trimestre uscito ieri, -4,7%, in altri tempi avrebbe campeggiato sulle prime pagine dei giornali per una settimana. Ieri invece è passato in sordina perché nessuno si poteva fare illusioni e perché, ovviamente, il peggio è tutto davanti. Le misure di lockdown sono arrivate solo alla fine del primo trimestre e invece investiranno completamente il secondo. I numeri che iniziano a girare sul trimestre in corso sono orribili e senza precedenti. Ma anche in questo caso nessuno si fa illusioni di sorta. Tutti si accorgono che la vita quotidiana è stata terremotata e così la produzione, il commercio e il turismo con i cieli e gli aeroporti vuoti. Quello che conta è quello che accadrà dopo.



Le incognite sono molte. Quanto velocemente rientreranno le misure di lockdown? Per quanto tempo saremo costretti a modificare le nostre abitudini di vita? Queste sono domande strettamente legate alla “ripresa”: ci sarà un rimbalzo repentino o un lento recupero? Tutte domande a cui è difficile dare una risposta.



Poi c’è un secondo filone non meno importante del primo. Quando il virus sarà andato via e faremo i conti cosa sarà rimasto del tessuto economico? Questa è la domanda che fa più paura di tutte in Italia. Gli interventi messi in campo negli Stati Uniti e in Germania sono stati davvero poderosi; i soldi sui conti correnti delle imprese sono arrivati a giorni a botte di decine di migliaia di euro a seconda della dimensione. Le imprese tedesche se e quando la ripresa arriverà si presenteranno al via toniche e in salute. Quelle italiane?

L’incubo è che si ripeta, ma per dieci, l’effetto delle crisi globali quando l’incapacità di riforma profonda della spesa statale e dell’economia unita alla “austerity” hanno condannato l’Italia alle riprese più deboli in Europa. Purtroppo non ci sono elementi di ottimismo. Come sanno migliaia di imprenditori italiani e centinaia di migliaia di cassa integrati in Italia non è arrivato nulla. Non solo. La burocrazia che almeno si sperava potesse essere falcidiata vive i suoi giorni di massimo trionfo come dimostrano le innumerevoli autocertificazioni. Sarebbero interventi a costo zero, ma sopravvive, soprattutto in questo Governo, l’idea che l’impresa coincida con il male. Pensiamo agli interventi con cui un tecnico non eletto fissa i prezzi delle mascherine accusando gli imprenditori che stanno per chiudere di essere liberisti da divano. Un complimento che ci regalerà un’ondata di meritate delocalizzazioni.



Insomma, di quello che è successo nel primo trimestre importa poco; importerà di più del secondo trimestre e non sarà un bello spettacolo per il Paese che ha il lockdown più lungo e duro d’Europa. Poi però bisognerà fare il conto delle macerie e per fare in modo che ce ne siano meno possibili bisogna piantare i semi oggi. L’Italia è in ritardo di un mese sulla semina sia per l’assenza assoluta di aiuti all’economia che di qualsiasi piano di convivenza con il virus. Così non andrà affatto tutto bene.

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