LA RIVELAZIONE CHOC DELL’INDAGATO EX ASPI AL PROCESSO SUL PONTE MORANDI
Il Ponte Moranti sul viadotto Polcevera a Genova sarebbe stato difettoso già in sede di costruzione, perciò non stupirebbe il fatto del crollo il 14 agosto 2018 provocando 43 morti e diversi feriti. Ne è convinto Michele Donferri Mitelli, l’architetto ex numero uno delle manutenzioni di Autostrade per l’Italia, intervenuto al processo sul crollo del Ponte Morandi dove risulta tra i principali indagati per la tragedia di 5 anni fa.
«Nessuno sapeva cosa ci fosse là dentro… i difetti erano presenti già all’epoca della costruzione», attacca l’ex responsabile di ASPI durante l’ultima udienza sul crollo del Ponte oggi ricostruito a tempi di record. Secondo Donferri, l’ingegnere Morandi dopo aver ideato il viadotto Polcevera (o Ponte delle Condotte) avrebbe potuto farlo anche chiudere durante la costruzione tra il 1963 e il 1967: «L’ingegnere Morandi, se avesse voluto, lo faceva chiudere il ponte. Ma lui non ha detto nulla. I cavi sono nati già corrosi e lui lo sapeva», così ha spiegato l’ex responsabile ASPI nelle ricostruzioni del processo fatte da “La Repubblica”.
“PONTE VECCHIO FIN DALLA COSTRUZIONE”: COSA HA DETTO MICHELE DONFERRI MITELLI
«Riccardo Morandi poteva far chiudere il ponte che aveva progettato ma non ha fatto nulla. Ora do retta ai miei avvocati e non dico più nulla», ha ribadito ancora Donferri Mitelli nell’udienza degli scorsi giorni, attaccando poi anche in maniera frontale il management di Spea, la società che all’epoca della costruzione monitorava le strutture per conto di Autostrade per l’Italia. Sempre secondo l’ex capo delle manutenzioni, il Ponte Morandi aveva difetti di costruzione che portarono al deterioramento delle strutture non riscontrabile, «in quanto interno e dunque nascosto».
La procura di Genova sostiene invece l’esatto contrario, ovvero che il Ponte in realtà diversi “allarmi” sul cedimento li aveva già lanciati da tempo: se il viadotto fosse infatti stato analizzato con strumenti idonei – contesta l’accusa di Genova – i difetti sarebbero stati individuati. Così però non la pensa Michele Donferri Mitelli quando al processo l’esperto parla di quei cavi primari del viadotto: «erano già ossidati all’epoca della costruzione, quindi la corrosione era già partita, perché erano rimasti per mesi nel cantiere esposti all’aria. Lo si vede nelle foto degli anni Sessanta». Per l’ex manager di ASPI, dunque, se i cavi fossero stati racchiusi nella struttura come pensata da Morandi, ovvero avvolti in una lamiera, «sarebbero stati come in un sarcofago e senza contatto con l’ossigeno la corrosione si sarebbe fermata. Lo si è visto dopo il crollo in varie sezioni. Ma in alcuni punti le cose non sono andate così», riporta Donferri nelle ricostruzioni de “La Stampa”. Nonostante l’invito degli avvocati a non aggiungere ulteriori dettagli, Donferri Mitelli in Aula esclama «Rispondo perché ci sono 43 morti e mi sembra doveroso farlo […] Morandi poteva far chiudere il ponte». Attaccando ancora Spea, il manager ex ASPI rivela del cambio di rapporti dopo il crollo di una porzione laterale di soletta del Morandi avvenuta il 7 febbraio 2018: «Da quel momento i rapporti con Spea si chiudono. Castellucci voleva venderla. Era stato chiaro da subito: se lavori mantieni la convenzione con noi, se non lavori la perdi». Donferri esclude infine di aver avuto compiti di sorveglianza sul Ponte Morandi, in quanto «spettavano a Spea, al direttore di tronco. I report delle varie prove? Mai visti e nessuno degli uffici preposti mi segnalò criticità».