I giornali hanno riferito con grande evidenza le parole di Emma Marcegaglia: la Confindustria è intenzionata a portare avanti il negoziato sulla riforma della contrattazione e a stipulare accordi con le controparti disponibili (ovvero, anche senza la Cgil).
L’affermazione è indubbiamente impegnativa e, come vedremo, rappresenta una novità nella linea di condotta dell’organizzazione di viale dell’Astronomia. Non è la prima volta che la giovane neo presidente usa toni simili, salvo essere corretta, poche ore dopo, da Alberto Bombassei – il vice presidente con delega alle relazioni industriali – che si sforza di tenere aperto il dialogo con Guglielmo Epifani e i suoi.
In verità è assolutamente pacifico che un accordo separato sulle regole sarebbe una “anatra zoppa”, uno strumento praticamente inutilizzabile. Il problema del che fare si riproporrebbe a ogni rinnovo contrattuale. Ma c’è un aspetto politico (quasi un effetto collaterale) che la Confindustria non può più ignorare: quello del rapporto con Cisl e Uil (e con la neo promossa Ugl). Queste due associazioni sindacali stanno scivolando – ormai da anni – lungo la deriva dell’irrilevanza. Nei rapporti con le controparti sono costrette a muoversi sullo scenario tracciato dai veti della Cgil.
Con il loro interlocutore naturale – i datori di lavoro – i rapporti di Cisl e Uil sono difficili, perché il sistema delle imprese non è disposto a scontrarsi con la Cgil. La Confindustria di Luca di Montezemolo, memore dell’esperienza precedente di Antonio D’Amato, aveva una sola idea programmatica riassumibile nello slogan “ mai più senza la Cgil”. È vero: Cisl e Uil mantengono un rapporto con l’esecutivo, ma non possono avvalersene se non per ottenere qualche poltrona in più nel sottogoverno (il Governo dovrebbe essere più attento a loro), perché un sindacato ha sempre dei limiti sulla frontiera di destra. Ma anche il Pd manda da tempo segnali di alleanza con la confederazione rossa. Ecco perché il banco di prova di una nuova linea della presidenza Marcegaglia diventa inevitabilmente la trattativa sulla struttura della contrattazione.
Vorremmo essere volentieri smentiti, ma saremmo pronti a scommettere che anche questa volta le disponibilità di Cisl e Uil saranno ignorate dal vertice di viale dell’Astronomia, il quale tornerà ad attendere che maturino i tempi nell’organizzazione di Epifani. Le aziende non sono disposte a sottoporsi alla guerriglia che la Cgil scatenerebbe, attraverso la Fiom, in alcune aree del Paese.
Del resto, sono almeno dieci anni (dall’inutile patto di Natale del 1998) che si cerca, invano, di rinnovare l’assetto della contrattazione collettiva. Ma il documento presentato della Confindustria (al pari delle “linee guida” dei sindacati) non risplende certo di luce innovativa. Né risolve i veri problemi.
La questione di fondo, pertanto, ha un forte connotato politico. Continuerà la Confindustria a privilegiare un rapporto con la Cgil fatto soltanto di immobilismo?