Il messaggio lanciato dal Rapporto Ocse 2008 è chiaro: negli ultimi 20 anni la disuguaglianza dei redditi è cresciuta in tutti i 30 paesi più sviluppati e l’Italia fa parte di paesi a più forte disparità.
Sfogliando però le 309 pagine del Rapporto e le sue 108 tabelle e figure non mancano interessanti “sorprese”. In Italia, la disuguaglianza è aumentata soprattutto nel decennio 1985-1995, mentre nell’ultimo decennio (1995-2005) gli incrementi più elevati (tra i paesi europei) sono avvenuti in Finlandia, Germania, Svezia, Norvegia, Danimarca, Austria (oltre che in Portogallo), vale a dire in paesi con una robusta tradizione di welfare che è stata ridimensionata per ragioni di sostenibilità.
Gli svantaggi dell’Italia sono di vecchia data e le disuguaglianze economiche sono principalmente dovute al forte squilibrio territoriale tra le regioni del Mezzogiorno e quelle del Centro-Nord, ove lo sviluppo è maggiore e le disuguaglianze sono meno accentuate. Non è dunque lo sviluppo che ha fatto crescere le disuguaglianze, ma la mancanza di imprenditorialità e di sbocchi occupazionali nelle aree più svantaggiate, malgrado gli ingenti trasferimenti pubblici (nazionali ed europei) a fondo perduto.
Lo studio dell’Ocse mostra anche importanti differenze tra i gruppi di età. Negli ultimi due decenni, i più anziani (55-75 anni) hanno sperimentano il maggior incremento di reddito e la povertà dei pensionati è diminuita molto rapidamente in gran parte dei paesi. Al contrario, la povertà è cresciuta tra i più giovani (0-17 anni) e ha raggiunto valori superiori alla media generale. Questo dato è allarmante perché indica che i governi non stanno investendo abbastanza per creare un futuro migliore a chi dovrà gestire il futuro anche dei più anziani.
Altrettanto importanti sono le indicazioni di policy suggerite dal Rapporto. La scelta di puntare sull’aumento delle tasse e della spesa – come ha fatto il Governo precedente – per rispondere alla disuguaglianza è considerata una misura di corto respiro, con effetti temporanei e non sostenibili.
La strategia considerata vincente sia per ridurre le disuguaglianze che la povertà è quella di promuovere l’accesso a un’occupazione durevole, con retribuzioni dignitose, di un maggior numero di uomini e di donne, piuttosto che puntare sulle indennità di disoccupazione o sulle pensioni anticipate. L’indicazione vale ovviamente per chi è in età da lavoro ed è in condizioni di farlo, ma non misconosce la necessità di sostenere il reddito della popolazione anziana o disabile.
Anche se il Rapporto non dà esplicite valutazioni sulle politiche dei singoli paesi, è innegabile che i problemi e le soluzioni prospettate hanno uno stretto legame con il dibattito aperto nel nostro paese dal Libro Verde sul futuro del modello sociale sia in tema di welfare-to work sia in tema di lotta alla povertà, la quale non coincide solo con la mancanza di un “reddito minimo vitale”, ma anche con la mancanza di una sana alimentazione, di cure preventive della salute, di relazioni familiari e sociali positive.
Anche nel nostro paese è necessario intervenire prioritariamente contro la povertà dei minori, che nasce dalla povertà dei loro genitori e viene alimentata dalla bassa scolarizzazione, dall’insuccesso e dall’abbandono scolastico, dalla mancanza di fiducia in se stessi.