I giudici che hanno stabilito che Eluana può essere lasciata morire di fame e di sete non hanno interferito con il parlamento, ma si sono pronunciati come spettava loro: in fin dei conti il caso giudiziario non è ancora concluso, e niente impedisce al parlamento di varare una legge in materia che sia “fondata su adeguati punti di equilibrio fra i fondamentali beni costituzionali coinvolti’.



Questa in buona sostanza la motivazione con cui la Corte Costituzionale ha respinto il ricorso di Camera e Senato, che avevano ipotizzato uno  sconfinamento dei giudici della Cassazione nelle competenze del parlamento: con la sentenza dell’ottobre scorso avevano stabilito che ad Eluana possono essere sospese idratazione e alimentazione se il suo stato vegetativo è diagnosticato come irreversibile, e qualora sia accertata, a posteriori, in base a testimonianze e ricostruita dagli “stili di vita”,  la sua volontà di non essere sottoposta a nutrimento artificiale.



L’ennesima conferma del fatto che solo una legge in materia – come andiamo ripetendo da mesi – può arginare il crescente potere giudiziario: non c’è altro modo. D’altra parte la sentenza che lascia morire di stenti Eluana non nasce dal nulla, non è il risultato di un’improvvisa e isolata presa di posizione di un manipolo di giudici particolarmente spregiudicato. Ha origine invece da una interpretazione consolidata del consenso informato e dell’articolo 32 della Costituzione, intesi nel senso di una totale autodeterminazione del malato, che arriva fino al diritto a morire.

Questa è l’interpretazione che va corretta, e riportata nei termini di garanzie di tutela del malato nel pieno rispetto delle sue volontà, con una normativa dedicata.
Ieri mattina, inoltre, non è stata accolta la richiesta della Procura di Milano di sospensiva dell’autorizzazione a staccare il sondino con cui Eluana viene alimentata: non c’è nessuna urgenza, hanno stabilito i giudici, e poi il padre si è impegnato a non interrompere alcunché fino alla sentenza definitiva della Cassazione. E’ anche vero che finora Beppino Englaro non è riuscito a trovare dove far morire di fame e di sete sua figlia: nessuna struttura si è dichiarata disponibile a rendere esecutiva la sentenza, in Lombardia e altrove, e d’altra parte i giudici non hanno obbligato il padre a staccare il sondino a sua figlia, ne hanno solamente dato l’autorizzazione.



Intanto nei giorni scorsi alla Commissione Igiene e Sanità del Senato è iniziata la discussione sulle proposte di legge presentate fino ad ora. La rapidità con cui la maggioranza parlamentare si è dichiarata disposta ad una legge sul fine vita, grazie anche ad una chiara posizione di gran parte del mondo cattolico –favorevole ad una normativa in proposito solo dopo la sentenza Englaro – ha letteralmente spiazzato l’opposizione, che fino alla fine non ha dato credito alla reale volontà della maggioranza di legiferare a riguardo.

Fermo restando che, per essere efficace e non permettere più nuovi casi Englaro la legge dovrà entrare nel merito delle dichiarazioni anticipate, e non limitarsi a vietare espressamente l’eutanasia, fin da ora sono chiari i punti critici del confronto: idratazione ed alimentazione artificiale e obbligatorietà o meno per il medico di seguire le indicazioni del paziente.
Che la nutrizione artificiale sia un sostegno vitale, e non una terapia medica (e che quindi non può essere inclusa nelle dichiarazioni anticipate), e che le dichiarazioni anticipate non siano vincolanti per il medico, ma solo delle indicazioni di cui tenere conto: queste le due condizioni necessarie alla futura normativa per evitare nuovi casi Englaro.

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