Scriveva lo storico Giorgio Rumi circa “…la singolare, millenaria e per tanti versi misteriosa ricchezza di invenzioni e proposte che la terra lombarda può realmente vantare in tema di amicizia per l’uomo”. (L’Hospitale e i poveri , Ned Milano). Lo scrittore si riferisce all’evoluzione della storia di cura ospedaliera, con la notazione che l’azione positiva della società unita è ancora oggi della massima attualità. Bisogna riconoscere che oggi la struttura del servizio sanitario costituisce un potente flusso di unità sociale. Questo sistema complesso si trasforma in continuità perché cambiano i caratteri della domanda e si differenziano le organizzazioni di risposta sanitaria negli interventi degli operatori in azione. Ma produce unità il metodo del lavoro sanitario che si costruisce sull’esperienza dell’incontro con un particolare uomo concreto che esprime una domanda circostanziata riguardo ad un bisogno reale e preciso. La stima che emerge dalla conoscenza della sua vicenda impone un rigore degli elementi della risposta, un impegno ad un rischio personale in un altro particolare uomo. Si forma sanità ed è basata sull’esperienza concreta di due soggetti: chi richiede e chi risponde.
Se si sta a questa esperienza personale si produce unità tra medico e paziente, unione tra gli operatori coinvolti e avviene una positiva compatibilità tra uomini con storia, cultura e sensibilità differenti.
Ma una lettura della realtà di tale genere non compare spesso nella cronaca.
È divenuto molto frequente, invece, ritrovare nelle informazioni dei mezzi di comunicazione descrizioni di avvenimenti inerenti ai così detti dati sensibili. Si tratta di quelle notizie che riguardano le vicende personali, la nascita, la malattia, le funzioni insufficienti, la morte, che per molto tempo sono state riservate all’ambito familiare, ai rispettivi medici di fiducia, alle strutture sanitarie che le hanno accolte. Il riserbo costituisce infatti lo statuto del fare sanità.
La diffusione dei racconti delle circostanze personali ha obbedito all’intenzione di suscitare sensazione per la particolarità e la riservatezza degli eventi e ha perseguito lo scopo di mostrare la esemplarità del contenuto delle indiscrezioni riguardo a valori etici in qualche modo normativi per la società.
Si è realizzata in questo modo un’acuta provocazione a pensarsi attori di quella vicenda (alla quale non si partecipa) e a ritenere doveroso raccogliere l’invito a schierarsi favorevoli o contrari.
Comunicazioni di questo tipo sono divenute davvero numerose e l’esercizio di dichiararsi sostenitori o avversari, senza alcun coinvolgimento affettivo per gli attori reali, si è fatto così usuale da sentirlo come un proprio potere legittimo, una qualifica della propria personalità.
L’evento reale è stato sostituito dal racconto e la sua esposizione, senza alcuna esperienza personale e senza nessun impegno, ha portato alla grande divisione dei discorsi, dei giudizi e degli atteggiamenti preannunciati, fino a pretendere che il potere statale produca forme normative a sostegno dell’una o dell’altra fazione.
Questi processi di divulgazione tutti fondati sulla rappresentazione di eventi rendono superflui l’esperienza ed il rischio professionale come fondamento del giudizio.
Ciò sottrae la possibilità che l’evento possa essere l’occasione per una elaborazione critica ed un progresso della produzione scientifica.
L’esasperazione della (supposta) differenza tra le parti fondata su incompatibilità preconcette produce circa qualsiasi evento un fattore di separazione e disgregazione della società. Si dichiarano gruppi separati per i quali la contrapposizione finisce in primo piano e la realtà accaduta scivola in uno sfondo confuso. Ciò nonostante l’esperienza autentica degli avvenimenti critici dell’uomo rimane accessibile solo ai soggetti che li vivono, che li incontrano realmente, che li patiscono. Ad essi è possibile una medicina scientifica ed essi sono coinvolti in una compatibilità positiva, qualunque percorso abbiano compiuto.
Le prove che una vera esperienza possa stabilire un’intesa, possa coinvolgere in una traccia di unità e animare il servizio agli uomini malati, un bene comune, sono presenti, anzi sono evidenti.
Quanti avvenimenti di un cambiamento, di una maturazione di giudizio, di positività solidale hanno mostrato coloro (scienziati illustri e non) che hanno sperimentato la conoscenza di una diagnosi critica su di sé, hanno incontrato realmente in modo diretto la malattia, la sofferenza, la cura. Non solo un convincimento interiore, di più l’esperienza di un proprio bisogno è stato il fondamento solido di opere di bene per molti.
E ancora quanta corrispondenza suscitano i dati rigorosamente registrati, i risultati e le prospettive di un appassionato lavoro sanitario. Curiosità, rispetto e compatibilità di giudizi vengono scoperti come segno di unità di fronte a genuina esperienza di compagnia alla sofferenza, di assistenza con i caratteri di una severa disciplina scientifica. Questo fenomeno si è mostrato, ad esempio, nello svolgersi dei lavori del recente convegno “Coscienza, stati di coscienza e persona. Cura e riabilitazione dei pazienti con gravi lesioni cerebrali”. Intorno a questo argomento, oggetto di polemiche riguardo al significato di questi pazienti e ai limiti della giusta assistenza, l’esperienza di incontro con concrete persone ha trovato l’unità del lavoro di professionisti e scienziati.
L’attività sanitaria, dunque, può continuare ad essere conosciuta come il luogo dove è possibile fare esperienza di un bene umano comune.
L’occasione dell’incontro tra l’uomo che soffre e domanda e l’uomo che si impegna personalmente nella risposta pone una unità oggettiva che avvia alla ricerca del vero.
Per questa via di unità gli interventi sanitari sviluppano le loro potenzialità e le rendono adeguate alle richieste concrete, in una parola progrediscono scientificamente.
Si comprende così quanto sia prezioso il rapporto medico-paziente e come sia attuale la raccomandazione (Osservatore Romano, 20 ottobre 2008) di valutare con sospetto qualsiasi tentativo di intromettersi dall’esterno in questa esperienza.
(Marco Botturi e Massimo Croci – Fondazione Maddalena Grassi)