Un vero e proprio assalto in piena notte. Una sessantina di uomini armati irrompe nel convento delle missionarie contemplative di Charles de Foucauld nella località keniota di El-Uach rapendo un gruppo di religiosi e due suore italiane, Maria Teresa Oliviero di 61 anni e Caterina Giraudo, di 67. Padre Luigi Anataloni è missionario da 21 anni in Kenya. Conosce molto bene le dinamiche interne al Paese essendo anche giornalista e direttore del giornale Seed.



 

Don Luigi, come si stanno vivendo queste ore in Kenya?

 

Personalmente ho ricevuto molte telefonate da diversi ordini di suore. Ovviamente si vive con partecipazione e unità di preghiera con la comunità dei missionari contemplativi di Charles de Foucauld. Non possiamo fare di più. Per quel che invece riguarda la gente qui a Nairobi occorre dire che la notizia che è apparsa su tutti giornali e di cui han parlato radio e televisioni, ha avuto una vasta reazione. Qualcuno si è chiesto come mai, anche in un Paese relativamente tranquillo come il Kenya, possano accadere tali cose. Ma è un’emozione presto soffocata dalle altre migliaia di problemi che assillano ogni giorno la popolazione. Per cui in queste ore si sta vivendo quanto accade forse con un po’ meno di emozionalità rispetto a quanto si sente in Italia.



È da considerare anche il fatto che la zona del rapimento è talmente remota, rispetto alla capitale, che viene quasi avvertito come un episodio avvenuto in terra straniera.

 

Che caratteristiche presenta il villaggio di El-Uach e la zona del rapimento?

 

È il punto di confine dove si incontrano Etiopia, Somalia e Kenya. Da Mandera, la città più importante della zona che si trova sulla punta di questo triangolo, occorre spostarsi per ben 230 chilometri più a sud. Lì si raggiunge El-Uach, il posto dove rimane il convento dal quale sono state rapite le due sorelle. Si trova appena a un grado sopra l’Equatore ed è a soli 5 chilometri di distanza dal confine con la Somalia. Siamo nella diocesi di Gari Hills, una zona che è grande come l’intera Italia Settentrionale ma che ha solo 70.000 abitanti. È un’area quasi tutta desertica, con poca acqua corrente. La maggior parte della gente vive di pastorizia e agricoltura e quando non piove per mesi è un disastro.



 

Sono dunque zone pressoché abbandonate anche dalle istituzioni?

 

Dal punto di vista politico si tratta di zone dove il governo è presente pochissimo. I villaggi sono pochi e sperduti, le infrastrutture non ci sono. Non è una zona di interesse economico rilevante e, soprattutto, ospita valli e pianure abitate per lo più dai somali. Il governo ha sì delle caserme di polizia, rare scuole e insegnanti, impiegati e ufficiali governativi, ma sono troppo pochi per non essere sparsi in un enorme territorio. I kenioti da queste parti sono praticamente forestieri anche loro come lo siamo noi bianchi. Si tenga presente che, in una zona somala, i Bantu si riconoscono subito. Come i cristiani.

 

Come sono considerati i cattolici in Kenya?

 

Sono assolutamente ben considerati in quanto in Kenya i cristiani rappresentano oltre il 60% della popolazione. Di questi il 20% sono cattolici. Poi c’è circa un 10% di musulmani e altri di religione tradizionalista e animista.

Nei luoghi del rapimento però i cristiani sono una piccola minoranza. Basti pensare che nella diocesi di Gari Hills sono soltanto il 10% della popolazione. La maggior parte dei cattolici poi non sono locali ma per lo più commercianti e ufficiali governativi.

 

Presume che dietro questo rapimento si possa confermare una matrice terroristica?

 

Si fanno moltissime ipotesi, ma nessuno sa niente di preciso. Non ci sono state rivendicazioni di alcun tipo. Ho immediatamente contattato il responsabile delle suore missionarie dei contemplativi di Charles de Foucauld che mi ha confermato di non aver avuto nessun contatto coi rapitori.

Ma ci sono degli indizi che potrebbero palesare la presenza dei fondamentalisti somali dietro questa operazione.

 

A quali indizi si riferisce?

 

In primo luogo occorre considerare i mezzi che sono stati impiegati. Secondo i testimoni oculari si tratta del tipo di Pick-up utilizzato dai somali, ossia con le mitragliatrici incorporate. Poi la modalità di “firmare” con un razzo anticarro è tipica di questi terroristi. L’armamento e i mezzi che hanno usato non sono assolutamente ritrovabili nel Kenya.

L’altro indizio è che la gente locale sta simpatizzando moltissimo con le suore. Sono estremamente dispiaciuti di quello che è successo e, anche se sono per lo più musulmani, stanno manifestando in tutte le maniere la propria solidarietà nei confronti delle religiose.

Questi due indizi farebbero pensare a persone che vengono o da altri Paesi o comunque che sono spalleggiate dalla Somalia. Attualmente quest’ultima è terra di nessuno. Addirittura ci sono voci che parlano di un campo di addestramento di Al Qaeda nei pressi del luogo dove è avvenuto il rapimento.

 

In quale direzione si stanno muovendo le autorità per risolvere questa terribile situazione?

 

Le autorità si sono mosse, primo fra tutti il nostro ministero degli esteri e la nostra ambasciata.

Le autorità locali stanno cercando di coinvolgere gli anziani del posto. La presenza del governo c’è, ma come ho detto prima, non è molto efficace. A causa della situazione geografica, la dispersione e la difficoltà di trasporto, ci vorrebbe una potenza logistica per controllare così tante migliaia di chilometri di confine che richiederebbe un costo enorme anche per un paese come l’Italia.

Per questo una realtà davvero efficiente risulta essere quella degli anziani del posto. Un meccanismo secolare che ha creato una capillare rete tribale di informazioni e che ha una forte autorità persino sui terroristi. Il loro sistema va avanti da secoli.