“Roma locuta, causa finita”. Con due sentenze degne di un Ponzio Pilato in forma smagliante, la Corte di Cassazione ha chiuso definitivamente le due strade (parlamentare e giudiziaria) che hanno cercato di evitare la morte di Eluana Englaro per eutanasia. Decisione presa senza nemmeno voler entrare nel merito, ma semplicemente trincerandosi dietro l’inammissibilità del ricorso ed affermando la particolarità della questione, che sarebbe squisitamente soggettiva ed individuale, e perciò senza alcun interesse pubblico.



Chi può cantare vittoria, davanti ad una disfatta del genere? Chi può sinceramente sostenere, senza tirare in ballo ingerenze vaticane ed altre amenità, di essere un sostenitore della morte e non della vita? Nessuno può amare la propria morte più della vita: semplicemente non sarebbe umano.

Forse l’unica persona soddisfatta sarà il povero Beppino Englaro, che dopo tanti anni di lotta vede portata a termine vittoriosamente la sua battaglia. Ma a che prezzo? Quello di “liberarsi” della figlia? Spero e prego che il Signor Beppino, dopo aver visto riconosciute come plausibili le sue ragioni, possa ora mettere da parte le scartoffie burocratiche ed abbia tempo di concentrarsi sugli occhi della figlia. Spero e prego che a mente fredda, nonostante gli sia stata riconosciuta l’autorizzazione (ma senza alcun obbligo) ad interrompere l’alimentazione forzata alla figlia, possa cambiare idea (magari assieme alla moglie e madre di Eluana) e decida di continuare ad alimentare “forzatamente” la figlia, così come certamente avrà fatto assieme alla moglie quando Eluana era neonata e fino a quando non è stata capace di nutrirsi da sola tenendo autonomamente il cucchiaio nella sua manina.



«La vita di mia figlia è un inferno, ed io la voglio liberare». Queste erano le parole del Signor Englaro. Mi permetto di sollevare un dubbio. Come si può essere sicuri che Eluana sia in una situazione di “inferno”, quando esistono persone, abili e vegete, le quali lasciano albergare nei loro cuori ben peggiori inferni d’odio, invidie, superbie, e rancori? E se Eluana fosse in una situazione di pace che nessuno noi può immaginare? Se la situazione di Eluana fosse la chiave salvifica per la vita di altri? Per questo credo che l’inferno sia molto più presente nel cuore degli uomini, che non in un letto d’ospedale o nelle sofferenze dei famigliari del malato.
Spero e prego che questi due genitori abbiano la dolcezza, l’amore, la volontà e la forza di percorrere fino in fondo questo calvario, stringendo compassionevolmente a sé questa figlia inerme e silenziosa, abbandonandosi fiduciosi alla volontà di un Mistero che riconosciamo più grande di noi, delle nostre forze, delle nostre Corti di Cassazione.



Questa può essere la mia speranza sul caso soggettivo, ma ovviamente non mi permetto di sentenziare sul dolore di una famiglia che vede la propria figlia in stato vegetativo da quasi vent’anni.
Ma quali saranno le ripercussioni biogiuridiche e bioetiche sulla vita di noi tutti, che una non-sentenza come quella della cassazione potrà produrre? La nostra civiltà occidentale, il nostro progresso sta nel fatto che possa essere un giudice a decidere chi sia degno di vivere e chi di morire? Siamo stati il paese promotore della moratoria universale della pena di morte presso le nazioni unite, e poi questo è il nostro agire pratico? E rimanendo alle Nazioni Unite, come si sposa il caso di Eluana con la convenzione ONU sui diritti delle persone disabili? Essa (firmata dall’Italia nel 2006) sancisce che “a quanti hanno minorazioni fisiche, mentali, intellettuali o sensoriali a lungo termine” sia garantita la “prevenzione di un rifiuto discriminatorio di assistenza medica, di cure e servizi sanitari, di cibo e fluidi sulla base della specifica disabilità”.

E’ evidente che in Cassazione l’articolo 25 di questa convenzione sia palesemente sfuggito.

Ma ora non voglio addentrarmi in cavilli legali. Mi interessa molto di più convincere il lettore che, situazione della povera Eluana a parte, la questione è grave perché ancora una volta è in atto una diabolica e perversa manipolazione delle cose e dei fatti.

Essa viene pianificata dai mezzi di comunicazione per rendere più appetibile quel cibo che la gente fa capire di voler maggiormente gradire. Oggi la gente vuole leggere sui giornali e vedere in tv dei documenti utili a trovare il modo di vivere oltre un secolo, di fare l’amore a ottant’anni, di avere la pelle da ventenne a ottanta, di fare figli a settanta e così via. La malattia, la sofferenza, la morte sembrano cose che non ci appartengono più. Vogliamo dimenticarle, metterle in un angolino nascosto, fare come se non dovessero toccarci mai. Pura illusione.

Però i mass media ci vogliono dare una mano nell’alimentare questa illusione, e così anche davanti alle tragedie altrui ci offrono quella foglia di fico che, chissà mai, un domani potrebbe essere utile anche a noi per sopprimere il vecchio e malato genitore che ormai in casa è presenza troppo gravosa, e ci impedisce quei tanti nostri impegni ai quali mai potremmo rinunciare.
Questa è l’unica fatica che l’uomo d’oggi è disposto a fare: quella utile alla propria autogratificazione. Si lavora e si fatica per lo status symbol, per il wellness, per il fitness.
Faticare per un malato? Tempo perso: tutti dobbiamo morire, prima o poi. E così, presentandoci un omicidio travestito da atto di pietà, ci sentiamo tutti meglio e liberi da quel peso che attanaglierebbe le nostre umane coscienze così difficili da mettere in silenzio.

Siamo tutti travolti da questo tsunami di egoismo, altrimenti sarebbe incomprensibile spiegare come la maggior parte della gente dia credito e riproponga come proprie convinzioni le numerose panzane che si leggono e si sentono sui principali quotidiani ed in tivù a riguardo della vicenda di Eluana Englaro.
Come successe per l’aborto (dapprima introdotto come caso limite per stupri o gravissime malformazioni da diossina, e poi divenuto un accettato ed usuale metodo anticoncezionale alternativo) potrebbe succedere così anche per l’eutanasia, dopo il caso Englaro?

La speranza è che il Parlamento voglia trovare al più presto un tavolo di incontro comune e condiviso affinché si possa legiferare quanto prima in merito, evitando l’introduzione nel nostro Paese di qualsiasi forma attiva o passiva di eutanasia. Perché per Eluana, di questo si tratta: eutanasia.

Vediamo almeno noi di dare il giusto senso alle parole, senza arrampicarci su inutili specchi.

Eluana non è in coma, come molti hanno scritto, e non è attaccata a nessuna macchina o respiratore automatico (come era per il povero Welby), non c’è nessuna “spina” da staccare, non assume alcun farmaco particolare, non è gravata da una patologia cosiddetta “terminale” come fosse un cancro all’ultimo stadio.

Eluana soffre di una grave disabilità con difetto di coscienza a seguito di quell’incidente stradale, ma nessuno può e potrà mai sapere cosa passa davvero per la sua mente, se dietro quegli occhi coi quali sembra riconosca le suore che misericordiosamente la accudiscono tutti i giorni, il suo cervello elabora qualche tipo di emozione o meno. Come testimoniato da diverse esperienze vissute ne “La Casa dei Risvegli Luca De Nigris” di Bologna (www.amicidiluca.it), anche persone nelle condizioni di Eluana possono mostrare, dopo adeguate e continuate sollecitazioni, livelli di coscienza prima insospettabili.

Eluana è viva: respira autonomamente, come tutti noi si addormenta da sola la notte e si sveglia con le luci del giorno, ha il ciclo mestruale e poche settimane fa il suo fisico giovane ha sopperito da solo ad una forte emorragia. Viene nutrita ed idratata tramite un sondino (visto che non possiede l’uso autonomo degli arti); ma questo succede normalmente anche per i neonati in incubatrice, in moltissimi casi di malati di Parkinson o Alzheimer avanzato, nelle situazioni più complesse di SLA. Che facciamo, mettiamo tutti a morte? E dove starebbe per Eluana il tanto declamato “accanimento terapeutico”?

Ora, se il padre deciderà di sospendere questo nutrimento nasogastrico, non ci sarà nessuna “dolce morte”, nessun “alleviamento delle sofferenze” di Eluana. Anzi, il dramma per lei comincerà proprio allora.
Data la giovane età ( e come successe anche per la povera Terry Schiavo) si presume che la ragazza morirà per arresto cardiaco dovuto alla disidratazione dopo almeno 15 giorni di agonia ed atroci sofferenze. Per alleviarle tali sofferenze (ma Eluana non era da tutti proclamata assolutamente incosciente?) la ragazza, nei giorni che precedono la morte, sarà pesantemente sedata.

Sarebbe bello, come ha chiesto l’associazione “Scienza&Vita”, che al pari di ciò che succede in America, anche a questa condanna a morte (perché di questo si tratta) possano assistere dei testimoni (magari gli stessi giudici della cassazione), e che possa essere filmata a futura testimonianza degli enormi regressi che la nostra civiltà ha prodotto con la sua modernizzazione, coprendo le sue vergogne con la sempre più consunta bandiera dell’autodeterminazione. Che in questo caso sarebbe anche tutta da discutere: la volontà di Eluana di preferire la morte a questa sua situazione attuale non è inequivocabilmente acclamata ma accuratamente ricostruita nelle aule di tribunale…
Questa è la nostra società.

Un posto dove un giudice può stabilire chi è degno di vivere e chi di morire. Dove i medici, che per giuramento professionale e codice deontologico dovrebbero curare i pazienti, ne causano invece la morte. Dove gli ospedali non sono più luoghi dove ci si reca esclusivamente per farsi curare ma, a scelta, anche per morire. Dove la dignità dell’omosessuale, della minoranza etnica, e a volte persino dell’animale in via d’estinzione valgono assai di più di una superiore dignità universale che dovrebbe essere semplicemente garantita dalla nostra ragionevolezza: quella di ogni vita umana dal suo concepimento alla sua morte naturale.

E a me piace pensare che, comunque, la morte naturale non sia il termine di un cammino ma la tappa intermedia verso un percorso ancora più ampio. Per questo, davanti ad Eluana non può non tornarmi alla mente il monito di Cristo nel capitolo 25 del Vangelo di Matteo: «Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli. Perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e non mi avete dato da bere».
Ognuno faccia come crede. Io, con la mia misera coscienza laica, preferisco il “veluti si Deus daretur”.