Come è noto, la vicenda giudiziaria sul caso Englaro, recentemente conclusasi almeno dal punto di vista del diritto (ma fortunatamente ancora aperta in fatto, visto che la sentenza non è ancora stata eseguita), ha avuto una lunghissima gestazione e ha visto un susseguirsi di sentenze da parte di giudici di diversi ordini e gradi. Tali sentenze contengono argomentazioni che forse può essere utile riconsiderare, anche alla luce di quanto verrà poi stabilito dal Parlamento in tema di direttive anticipate di fine vita. Non è detto infatti che una decisione, per quanto importante e resa dal giudice più alto in grado, non possa essere posta sotto critica; anzi, è compito della dottrina – se vuole restare vergine di servo encomio – esercitare la funzione di controllo culturale e tecnico a quanto la prassi va elaborando.



Tra i molteplici temi considerati dai giudici coinvolti merita ricordare la scelta compiuta nel 2005 dalla Corte di Cassazione. In quella sede, con l’ordinanza nr. 8291, era stato dichiarato inammissibile il ricorso presentato dal padre di Eluana contro la prima sentenza della Corte di Appello di Milano la quale, confermando la sentenza di primo grado resa dal Tribunale di Lecco, aveva negato l’assenso alla sospensione dell’alimentazione e dell’idratazione, in quanto non notificato ad alcuno e, in particolare, neppure al Procuratore Generale. Tale notificazione (fondamentale affinché si instauri correttamente un processo) non sarebbe necessaria solo nei procedimenti di volontaria giurisdizione unilaterali, in cui cioè non sia identificabile un interesse diverso da quello del ricorrente (nella specie il padre di Eluana).



Tutto ciò posto, il supremo giudice – pur non entrando in merito alla richiesta avanzata dal padre di Eluana – asserì essere di immediata evidenza (sic.) che il provvedimento richiesto – che si affermava corrispondere all’interesse dell’interdetto – possa invece non corrispondervi, con la conseguenza che «giammai il tutore potrebbe esprimere una valutazione che, in difetto di specifiche risultanze, … possa affermarsi coincidere con gli interessi dell’interdetta non in condizioni di esprimere la propria valutazione». Trattandosi pertanto di una situazione di potenziale conflitto di interessi, la Corte di Cassazione nel 2005 ritenne necessario che si nominasse un curatore speciale incaricato di agire a tutela dell’interesse dell’interdetto, interesse non tutelabile dal solo tutore.



In questo pur fragile modo l’ordinamento mira a far sì che le scelte compiute in nome e per conto di altri, siano essi minori o interdetti, vengano compiute tenendo conto di tutti i possibili interessi in gioco e non solo di quelli che stanno alla base delle richieste di una parte. La nomina del curatore speciale avviene, infatti, in estrema sintesi, quando tutore e protutore si trovano in opposizione di interessi con il minore (art.360 del codice civile) e ha come compito di tutelare al meglio l’interesse del minore ponendosi come contraddittore necessario nei giudizi.

Ora, essendo il caso così complesso e problematico, ci si sarebbe potuti aspettare che il curatore facesse emergere almeno qualche aspetto di problematicità nella posizione del tutore mentre, come è noto, fin dall’inizio il curatore non ha fatto altro che sostenere appieno le scelte del tutore stesso, con ciò avallando l’immagine dell’esistenza di un solo interesse dell’interdetta, quello a veder conclusa la propria vicenda terrena tramite la sospensione di un “trattamento” a cui essa stessa non aveva consentito e a cui non avrebbe presumibilmente consentito, a detta dei giudici, se fosse stata cosciente. Con ciò un ulteriore elemento della vicenda viene alla luce: non solo la volontà dell’interdetta viene ricostruita nel processo tramite prove testimoniali relative ad asserzioni della stessa rese in un lontano passato e in una condizione ben diversa da quella in cui ella oggi si trova, ma il possibile conflitto di interessi tra chi vuole la fine del trattamento e di chi potrebbe essere interessato a continuare nutrizione e idratazione pur nella difficile condizione di una persona in stato vegetativo (e forse l’interdetta stessa, se potesse esprimere la sua volontà) viene risolto in modo rigorosamente formale tramite – dice la stessa Cassazione – «la – mera (ndr)- presenza in causa del curatore speciale» la quale «supera ogni problema di possibile conflitto tra la tutelata e il tutore».

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