Proprio a novembre di quest’anno compie quindici anni l’esperienza straordinaria del CREN, Centro di Recupero e Educazione Nutrizionale, attivo nella città di San Paolo del Brasile. Un ente nato grazie al contributo del Ministero degli Esteri italiano e delle Tende AVSI, che si occupa della cura di molti bambini che vivono ai margini della grande metropoli brasiliana, cercando di risolvere i loro problemi nutrizionali grazie a un approccio eminentemente educativo. Un’opera il cui grande valore è stato riconosciuto a livello nazionale e internazionale: l’UNICEF ha riconosciuto il CREN come riferimento nazionale in Brasile per la cura della denutrizione infantile, e il presidente brasiliano Lula ha consegnato a quest’opera lo scorso 29 ottobre il premio ODB Brasile, per il contributo al raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio.



Gisela Solymos è direttrice del CREN, e a lei ilsussidiario.net ha chiesto di raccontare le caratteristiche salienti della loro opera.

Gisela, ci può spiegare innanzitutto qual è il contesto in cui vi trovate a lavorare, e quali sono le condizioni delle persone che assistete?

Bisogna innanzitutto sapere che il Brasile è un paese molto ricco ma che ha ancora al proprio interno tante disuguaglianze e tante ingiustizie: moltissime persone vivono in una situazione di estrema povertà. San Paolo, ad esempio, è la città più ricca del Brasile, con quasi 11 milioni di abitanti; di questi, però, 2 milioni vivono in favelas, ossia, come tutti sanno, in condizioni di vita veramente precarie. Perciò è molto elevato il numero di bambini denutriti o malnutriti, che hanno una cattiva alimentazione e che sono esposti a condizioni igieniche molto precarie: non hanno i servizi minimi, come fognature, raccolta dei rifiuti, acqua potabile etc. Perciò si ammalano facilmente, non riescono a mangiare in maniera corretta e non riescono a crescere come dovrebbero. Questo situazione genera conseguenze che segnano l’intera vita di questi bambini, sia per il fatto che hanno meno energia degli altri e perdono l’opportunità di imparare, sia per il fatto che quando diventeranno grandi avranno malattie che, paradossalmente, riguardano l’obesità, e i problemi annessi, come cardiopatie, diabete, ipertensione.



Il problema che vi trovate ad affrontare è dunque molto più complesso rispetto al semplice dar da mangiare.

Noi partiamo dalla constatazione che un bambino denutrito appartiene spesso a una famiglia ad alto rischio sociale, con problemi molto più gravi rispetto alle altre famiglie. Perciò, per curare veramente la malnutrizione, dobbiamo fare un lavoro sia col bambino, dandogli da mangiare, sia con la famiglia, che deve essere aiutata a riscoprire la dignità umana. Questo anche a livello civile, aiutandoli ad avere documenti, ad avere un lavoro, a imparare a mangiare usando bene dei pochi soldi che hanno. C’è tutto un lavoro educativo, nutrizionale e medico da fare con queste famiglie.



In che senso fate un lavoro educativo?

Facciamo un esempio molto concreto che riguarda proprio i bambini: ce ne sono alcuni cui non basta mettere davanti un piatto, perché semplicemente non mangiano, si rifiutano. Allora cerchiamo di fare dei giochi per far capire loro l’importanza del cibo, per far conoscere i vari tipi di alimenti, e quindi far venir voglia di scoprire e quasi di affezionarsi al cibo. In secondo luogo, poi, l’aspetto educativo riguarda moltissimo anche il rapporto con le famiglie: e la prima educazione è quella di far percepire loro che hanno in se stessi una dignità, che sono degli esseri umani. Loro infatti arrivano da noi ed è come se non si rendessero conto nemmeno di avere dei diritti. Per esempio: quello di iscrivere i loro figli a scuola è un diritto; ma basta che vadano dalla direttrice e che questa dica qualcosa che a loro non piace, e subito tolgono il bambino dalla scuola. Come se non fosse un loro diritto quello di avere certe cose dalla società. La prima cosa dunque è mettersi in rapporto con loro in modo che possano fare un’esperienza vera di compagnia e di umanità. Scoprirsi uomini e donne: a partire da questo poi tutte le altre cose si sistemano.

Come si svolge in concreto l’attività del CREN?

Il Cren è nato quindici anni fa, e si occupa da sempre dei diversi livelli di problemi di nutrizione dei bambini. C’è il livello più grave, in cui i bambini vengono ospitati in una struttura che è, esemplificando, un po’ come un asilo nido: i bambini stanno nella struttura dal lunedì al venerdì, e qui devono recuperare non solo il peso ma anche un’altezza adeguata per la loro età, perché l’altezza è il vero segno della loro salute. Mentre i bambini sono nella struttura, noi facciamo tutto un lavoro anche con le famiglie, con interventi domiciliari di carattere sociale e psicologico. Un secondo livello un po’ meno complesso è quello dell’ambulatorio, per i bambini meno gravi o per quelli che non possono venire tutti i giorni al nostro centro. Infine un terzo livello, che riguarda il lavoro con la comunità: andiamo cioè in giro per la città a cercare nuovi bambini denutriti. Dal momento che questi bambini si trovano in famiglie che vivono ai margini della società, essi non sono inseriti nei servizi sanitari e di educazione, e per trovarli dobbiamo cercarli in casa loro, nelle favelas. L’anno scorso abbiamo assistito direttamente 2.700 persone, mentre indirettamente, tramite i nostri corsi e le persone che lavorano con i bambini siamo arrivati a quasi 10 mila bambini.

Avete un aiuto dagli enti pubblici per svolgere la vostra attività?

All’inizio c’era una convenzione con la città di San Paolo, sul modello di quella che viene fatto con gli asili nido, grazie a una convenzione con l’assessorato all’Educazione della città di San Paolo. Ma in realtà questo non copriva le nostre esigenze, anche perché evidentemente il servizio che noi facciamo è nettamente diverso da quello di un normale asilo nido. Due anni fa, invece, siamo riusciti ad avere una convenzione con l’assessorato alla Salute. Fino a due anni fa, infatti, anche gli enti pubblici facevano fatica a capire che il problema della nutrizione a San Paolo è molto grave; noi siamo riusciti a convincerli della gravità del problema, e quindi ad avere questa convenzione. Al di là del coinvolgimento dell’ente pubblico, il nostro sostentamento viene dall’aiuto che vi viene fornito dall’AVSI.

Sabato prossimo, qui in Italia, ci sarà la Giornata Nazionale della Colletta Alimentare; un’esperienza che pochi giorni fa è stata vissuta anche da voi in Brasile. Che importanza ha per voi il Banco Alimentare?

C’è un rapporto strettissimo con questa realtà. Qui in Brasile, come anche nel resto del mondo, i prezzi del cibo si stanno alzando e questo crea due tipi di problemi diversi: da una parte si aggrava il problema delle famiglie che hanno difficoltà ad acquistare i generi di prima necessità, e quindi continua a crescere il numero di poveri che hanno bisogno di realtà come la nostra; dall’altra parte aumenta il prezzo di quello che è il nostro strumento principale di lavoro, dal momento che noi dobbiamo innanzitutto, dal punto di vista concreto, alimentare i bambini. Quindi abbiamo fatto la Colletta insieme: siamo un ente assistito dal Banco, ma abbiamo al tempo stesso un rapporto stretto di amicizia con loro. Con la Fondazione Banco Alimentare non c’è solo un rapporto formale, ma è molto di più: un rapporto di amicizia e di scambio di esperienze.