Giunta ormai alla dodicesima edizione, la Giornata Nazionale della Colletta alimentare è diventata ormai un appuntamento fisso per molti italiani. Non solo per le migliaia di volontari che ogni anno permettono la realizzazione di questo grande gesto di carità, ma anche per tutti coloro che, facendo la spesa come tutti gli altri giorni, decidono per una volta di comprare qualcosa in più, facendo così la spesa anche per chi non se la può permettere.



Un gesto semplicissimo, dunque, che in questa sua immediatezza è capace però, come nota Antonio Socci, di «comunicare il cuore» di chi ha dato origine alla grande realtà del Banco alimentare.

Socci, la Colletta alimentare è una cosa un po’ diversa rispetto alla normale beneficenza: è un gesto concreto che coinvolge personalmente chi lo fa. Possiamo dire che, in questo rendere tutti partecipi e protagonisti, è anche un gesto con un valore educativo?



C’è in effetti un valore educativo per la persona singola, nonché un valore culturale per la società, per tutta la comunità umana in cui viviamo. Per la singola persona si tratta di un fatto, un’opera che mette in sintonia con il cuore di chi l’ha pensata. Parlo innanzitutto per me: anch’io andrò sabato a fare la colletta, e a sistemare i pacchi insieme ad altre persone, e quando faccio questo penso sempre a come è nato il Banco alimentare, cercando di immedesimarmi con il cuore di don Giussani. Penso al suo sguardo, e mi immagino la sua espressione, il suo sentimento, il modo con cui sapeva empaticamente sentire il bisogno degli altri. Questo è il cuore della grande carità cristiana: una cosa molto grande, molto bella, un fatto che spalanca. E credo che sia una cosa tutta da vivere; direi anzi che, vissuta con questo cuore, la Colletta è in grado di far vivere la vita intera in un altro modo.



Lei accennava al fatto che in questo gesto c’è un valore per la società intera. Un rilievo importante, in un momento in cui la gente vive con paura gli effetti dell’attuale crisi economica.

Per spiegare questo mi rifaccio a un libro estremamente interessante, che ho letto di recente, intitolato “Benedetta economia – San Benedetto e san Francesco nella storia economica europea”: un libro straordinario che permette di capire l’importanza del cristianesimo nello sviluppo dell’Europa, non solo attraverso il monachesimo – cosa già nota – ma anche attraverso il movimento francescano. Una prospettiva che contiene molti insegnamenti anche per l’oggi. In particolare, fra le attualissime conclusioni cui gli autori arrivano, c’è l’indicazione dei due elementi che hanno dato maggiore dinamismo allo sviluppo dell’economia europea: il primo fattore è la gratuità, per cui attraverso il movimento francescano è nato il mercato moderno, nella sua accezione migliore; il secondo è il carisma, vale a dire il fatto che ciò che è nato da grandi personalità come Benedetto o Francesco ha creato un dinamismo e un’intelligenza della realtà comprensiva di tutti i bisogni. Questa è una lettura veramente interessante, molto utile adesso, soprattutto in prossimità di grandi gesti di carità come la Colletta alimentare e poi le Tende di Natale, organizzate da Avsi.

In che senso tale giudizio aiuta a capire il valore di questi gesti di carità?

È un giudizio culturale che ci permette di capire che il cuore cristiano in ogni epoca si esprime con questo sguardo di carità che anche noi viviamo in questi gesti, in cui è evidente sia la gratuità, sia il carisma che li ha generati; ma al tempo stesso manifesta un’intelligenza delle cose e un’intelligenza della realtà che è stato storicamente assai fecondo.

Questo sembra richiamare a quanto dice Benedetto XVI nella “Deus caritas est”: «non ci sarà mai una situazione nella quale non occorra la carità di ciascun singolo cristiano, perché l’uomo, al di là della giustizia, ha e avrà sempre bisogno dell’amore». La carità è più della giustizia?

La giustizia mette in campo il ruolo dello Stato, che ha una funzione equitativa; mentre la carità dice qualcosa in più, perché parla alla persona. È dunque un elemento più umano e più ragionevole. La società non è una massa amorfa che viene plasmata dallo Stato: quando è così è una società non libera. La società è libera se fatta da uomini liberi, che si muovono con responsabilità e con intelligenza. In questo senso la carità è una dimensione della persona e non può essere una dimensione dello Stato, il quale si occupa della giustizia. La carità è un cuore, e quello che conta è che in una società ci siano persone, volti, carismi che fanno vedere questo cuore in atto, e per cui contagiano.

E come dice il Papa è una cosa di cui ci sarà sempre bisogno.

Sì, altrimenti c’è il grosso rischio che segnalava Eliot: esiste una società buona se gli uomini non sono buoni? È questo il punto: non può essere lo Stato a fare la società buona. Ciò che fa buoni gli uomini non è certo una legge o un sistema, nemmeno il più perfetto.

Lei diceva che questo è un bene che contagia. Lo si vede ogni anno dalla gente che viene coinvolta e che si commuove di fronte al gesto di gratuità della Colletta; si sono commossi anche vari politici alla presentazione fatta quest’anno alla Camera…

Questo non mi sorprende, anche perché troppo spesso in modo manicheo pensiamo ai politici come se fossero i “cattivi”, mentre in realtà sono persone normali. Comunque, la spiegazione di un tale “contagio” di stupore e commozione sta nel fatto che evidentemente una cosa così corrisponde profondamente al cuore di ognuno. L’iniziativa in sé genera corrispondenza, ma è soprattutto il cuore che c’è dentro all’iniziativa che dà questa corrispondenza e quindi questa commozione. Se tutti fossimo educati a un cuore del genere, parafrasando una ben nota frase di don Giussani, staremmo tutti meglio. La Colletta è un gesto umano e ragionevole perché è un gesto da cui traspare quel cuore, quell’intelligenza, quella carità. Questo commuove, e contagia.