Quando pensa alla Rai, la mente di Walter Veltroni si popola di persone di una certa età. Durante la scorsa legislatura nel Consiglio di amministrazione aveva inserito Fabiano Fabiani; recentemente, quando si è trattato di uscire dall’impasse della Commissione parlamentare di vigilanza, ha messo sul tavolo il nome di Sergio Zavoli. Persone degnissime beninteso, ma certo non brillanti quarantenni, né stimati cinquantenni.



In Italia ci lamentiamo periodicamente dell’età pesante dei nostri governanti e dei massimi responsabili delle nostre istituzioni: perché non si lascia spazio alle nuove generazioni, Obama ha 47 anni, Clinton ne aveva 42, Blair 41, persino Putin e Zapatero e Sarkozy, ecc. Ma qui non vogliamo associarci alla solita e sterile geremiade.



Essere (più) giovani non è un valore in sé. Il problema non riguarda gli anni ma l’assenza di ricambio, del tutto indipendente dal fattore età. Per il Cda Rai l’unico nome spendibile era quello di un gran commis dello Stato che già aveva occupato svariati formati di pubbliche poltrone? E per “cacciare” il rocambolesco presidente Villari davvero non c’era alternativa al gran signore del giornalismo tv passato giustamente alla storia per “Processo alla tappa” e “La notte della Repubblica”?

In questi giorni cronisti e osservatori strillano che “non se ne può più della guerra Veltroni-D’Alema che dura da quindici anni” (peraltro non facendo altro che parlarne incessantemente); e che dire dei gruppi realmente dirigenti delle altre formazioni politiche? Ai vertici veri, quelli che si contano forse sulle dita di una mano, abbiamo visto in questi anni facce nuove (non facce “giovani”)?



Ma vogliamo parlare di giornalismo? Quando è iniziata la stagione televisiva Gad Lerner aveva detto, riferendosi ai talk show e ai loro conduttori: «Anche quest’anno siamo sempre gli stessi» (in verità uno in meno, Giuliano Ferrara). Già. Anche uno sguardo al gruppo delle grandi testate conferma la sentenza. Direttori e vicedirettori cambiano con la lentezza dei decenni. Passi per la lentezza, ma il fatto è che il cambio non prevede l’arrivo di una faccia nuova nel club dei soliti noti: chi dirigeva la testata A ora dirige la testata B o la C o la D; indirizzi diversi stesso potere, dalla carta alla carta e dalla carta alla tv (meno frequente il contrario, chissà perché). Insomma una serie A che prevede rarissimi arrivi dalla serie B.

Altri campi dell’attività umana che non sfuggono alla regola? L’università, e se ne è parlato a sufficienza durante le settimane delle agitazioni; istituzioni culturali (il nuovo megamanager ministeriale dell’arte italiana vanta un elenco di presidenze e cda più lungo degli scudetti della Juve; il direttore della “nuova” Festa del Cinema di Roma è eloquentemente Gianluigi Rondi); imprese pubbliche. Ieri un innocente articoletto di un quotidiano accennava a un giro di nomine coinvolgenti cinque enti romani per il quale ciascuno dei candidati o è già presidente di uno degli enti in ballo o già vanta altre tre o quattro poltrone.

In ogni ambiente, in ogni gruppo sociale, in ogni istituzione il cambiamento è faticoso e delicato ma necessario. Lo dimostrano il mondo dell’imprenditoria e il mondo del no profit, del cosiddetto “privato sociale”. Mondi più aperti nuove facce e a nuovi protagonisti, dove circolano energie e creatività quasi senza limiti, mondi che non hanno paura, a dispetto delle crisi, perché dal ricambio e dal confronto non solo dipende la loro stessa vita ma perché con tutti i difetti, hanno l’impulso a creare un bene più grande dei propri perimetri di azione e convenienza. Nel tempo della difficoltà, più ricambi e meno scambi.