Monsignor Sgreccia, qual è il nuovo contributo che viene dato dall’Istruzione della Congregazione per la dottrina della fede Dignitas Personae? E che cosa ha reso necessaria la pubblicazione di questo testo?
Anzitutto nella Dignitas Personae c’è una trattazione ufficiale di alcuni aspetti che nella precedente analoga Istruzione, la Donum Vitae, non si trovavano, se non per un breve accenno ridotto a qualche parola. Per esempio non era affrontato il problema della clonazione terapeutica o riproduttiva, nonché tutti gli aspetti relativi all’utilizzo delle cellule staminali. Poi, da un punto di vista più generale, grazie a questo documento risulta ora più chiara la definizione di che cos’è embrione e di qual è la sua dignità; una definizione che già era implicita nel documento precedente, ma che qui risulta più chiara. Ora nessuno potrà più sostenere che la Chiesa abbia difficoltà a riconoscere la persona nella fase prenatale, perché dal punto di vista ontologico nella Dignitas Personae la dignità dell’embrione è dichiarata identica alla dignità della persona.
Si è discusso anche del fatto che nel documento non si parli esplicitamente di embrione come “persona”, ma come “avente dignità di persona”: che differenza c’è?
Dire che è persona potrebbe provocare la protesta di un giurista, secondo il quale la persona ha bisogno della maturità decisionale; oppure di uno psicologo, secondo cui la persona ha bisogno dello sviluppo affettivo e della coscienza. Queste scienze umane hanno concetti di persona discordanti; mentre a noi quello che interessa è il concetto di persona reale, sostanziale, che poi si sviluppa con l’età, secondo la distinzione tra persona e personalità. Alla luce di tutto questo, per evitare contrasti su determinati punti, si è evitato di entrare in discussioni fuorvianti, ma si è fatto chiarezza sul punto che veramente interessa, e cioè che l’embrione deve essere trattato come un essere umano. A questo dovevamo rispondere, e questo è stato acquisito.
Proprio nei giorni della pubblicazione di questo documento, si è diffusa la notizia che la Ru486 sarà a breve diffusa anche in Italia: che rischi porta la diffusione dell’aborto chimico?
Contrariamente a quello che si coglie dal modo con cui la notizia è stata diffusa dalla stampa, non si tratta affatto di una sostituzione dell’aborto chimico all’aborto chirurgico. Si tratta semmai di un’addizione, e direi quasi di un incoraggiamento all’aborto, sulla spinta dell’idea che ora sia meno doloroso e più facile. Tutto questo manca di un’adeguata valutazione. Innanzitutto sempre aborto è, nel senso che si sopprime una vita umana; secondo, non è vero che alla donna faccia meno male, perché dolori fisici ne ha, e i dolori morali sono identici. La scelta dell’aborto, infatti, è sempre dolorosa, quando la donna sa che questa è dipesa dalla sua decisione; che poi il feto sia stato espulso con uno strumento chirurgico o con una pillola, questo non cambia nulla, e certo non addormenta le coscienze. Terzo fattore molto importante, è necessario ricordare che ci sono state durante il periodo della sperimentazione molti episodi su cui bisognerebbe aprire una riflessione. Se un altro farmaco dovesse provocare gli stessi effetti (e qua stiamo parlando anche della morte di alcune persone) non c’è alcun dubbio che verrebbero immediatamente bloccati.
E perché in questo caso non si è bloccata la sperimentazione?
Perché ci sono grandi interessi, soprattutto in termini di investimenti da parte delle industrie farmaceutiche. Il lassismo della legge è passato sopra una norma deontologica che è alla base di tutte le scuole di medicina: quando si verifica l’evento avverso, subito si blocca la sperimentazione. Qui invece non si è bloccato niente, nonostante si sappia benissimo che per la donna è una cosa rischiosa.
Come si concilia l’utilizzo della pillola Ru486 con quanto previsto dalla legge 194?
Su questo fronte si apre una problematica molto complessa, cui l’asettico comunicato Aifa che dà il via all’utilizzo della pillola non fa riferimento. Dove vanno a finire la pausa di riflessione, la dissuasione o l’aiuto a superare le cause materiali che portano all’aborto, cioè tutte quelle cose di cui si parla nella legge194? La legge impone al medico di fare un’opera di verifica e di sostegno, nel caso ci siano delle paure o delle fragilità: con l’uso della pillola rimangono questi aspetti, o si arriva a ledere anche la 194? Quello che risulta evidente è che era altra la cosa da fare: non facilitare l’aborto aggirando la legge, ma semmai rivedere la legge stessa, mettendola in armonia rispetto ai principi che enuncia, e superando le contraddizioni che ha in sé. Io mi auguro che le coscienze comincino a risvegliarsi, e che si cominci a parlare di revisioni della 194, e non di introduzione di facilitazioni.
Diamo uno sguardo al polo opposto della difesa della vita: la sua naturale conclusione. Tutta l’attenzione è adesso rivolta al caso Englaro: a prescindere da quello che accadrà, che segni lascia questa vicenda sulla cultura e sulla società italiana?
Io spero che la cultura e la società italiana non ripetano lo scivolamento tragico che c’è stato con la legge 194: si è pensato di fare qualcosa che alleggerisse la situazione relativa alla pratica dell’aborto, e invece non s’è fatto altro che aprire le porte all’aborto al di là di ogni previsione Sul piano dell’eutanasia, mi auguro che non solo la Chiesa, ma tutte le ragionevoli coscienze illuminate possano fare barriera per difendere il paziente, il morente, da ogni anticipazione di morte, attiva o omissiva che sia. Dovremmo invece occuparci di altre urgenze: estendere le terapie palliative, la cura del dolore, l’assistenza conveniente, il superamento dell’isolamento del morente. Ci sono dunque ben altre cose da fare. Poi c’è anche un problema sociale: una società che si definisce solidaristica deve avere ripugnanza verso la soppressione della vita, nascente e morente. Se è solidale lo deve essere ancor più in questi casi. Possiamo affermare a parole che la nostra Costituzione, la nostra Repubblica e la nostra società ha un impianto solidaristico; ma se andiamo per questa strada arriviamo a soluzioni che non contemplano affatto la solidarietà.
In questi giorni si è anche riaperto un dibattito, all’interno del mondo cattolico, intorno al concetto di vita umana come valore indisponibile: qual è la sua posizione?
Io affermo che la vita è un valore indisponibile. Le cosiddette eccezioni che sono state discusse, come ad esempio il martirio, o la legittima difesa, sono casistiche che non fanno altro che confermare la regola. Se una persona si difende, ciò che intende fare è appunto difendere la propria vita e salvare se stesso, non uccidere l’altro. Così anche il martirio: il martire non provoca la morte, perché la morte la danno gli altri. Ci sono discussioni che si possono e si debbono fare, ma non scardinano il principio secondo cui nessuno ha il diritto di sopprimere la vita propria o altrui, dal momento che noi non siamo padroni della vita. E questo non riguarda solo noi credenti, ma tutti gli uomini.