Il provvedimento del Ministro Maurizio Sacconi ha ricreato nella giornata di ieri i soliti schieramenti contrapposti tra i “sostenitori” del potere giudiziario e quelli del potere politico con reciproci scambi di accuse sulla liceità di provvedimenti o sentenze e accuse di invasioni di campo. Per Cesare Mirabelli, ex presidente della Corte Costituzionale, raggiunto da ilsussidiario.net, la polemica sembra però essere di piccolo cabotaggio: «ci può essere un’interferenza in quanto agli effetti ma ciascuno ha esercitato i suoi poteri. Si può anche ritenere che questo atto non sia legittimo nei suoi contenuti, ma chi lo ritiene ha la possibilità di attivare quegli strumenti di reazione giuridica che l’ordinamento prevede».



Presidente Mirabelli, il suo giudizio personale su questo provvedimento qual è?

Il mio giudizio è che siamo di fronte a una direttiva di carattere generale e non a una “contro-sentenza”. Non si tratta infatti di una direttiva che va “contro” la sentenza della Cassazione, perché si pronuncia sua una situazione che riguarda molte persone ed è rivolta alle strutture sanitarie, nel pieno esercizio di una competenza che il ministro ha: è un atto di indirizzo e di comportamento per garantire una uniformità di comportamento sul territorio nazionale. Si rivolge alle strutture pubbliche o convenzionate, ma non riguarda nello specifico la condizione di Eluana o il “caso Englaro”, sebbene possa avere certamente dei riflessi su questa situazione.



In che senso?

La  sentenza che riguarda Eluana autorizza il tutore ad attuare quella che è stata ritenuta – esattamente o meno – la volontà di Eluana, cioè di non ricevere quelli che sono stato qualificati come atti invasivi di natura medica e, quindi, terapie. L’atto di indirizzo e coordinamento si rivolge invece alle strutture sanitarie, che non sono le destinatarie del provvedimento, dal momento che la sentenza non le obbliga a cooperare a quella richiesta; l’atto inoltre, in conformità a orientamenti dati dal Comitato Nazionale per la Bioetica e dalla Convenzione Onu sulle persone disabili, stabilisce che in presenza di uno stato di disabilità sarebbe discriminatorio non dare a questi soggetti il sostegno adeguato per l’alimentazione e l’idratazione. Sotto questo aspetto si rivolge a chi dovrebbe compiere questi atti, escludendo appunto che sia possibile compierli nelle strutture alle quali questo documento si rivolge.



In un comunicato dall’avvocato della famiglia Englaro, si legge che “la lettera del ministro, la quale non è atto amministrativo vincolante né ha contenuto prescrittivo, non è idonea a produrre alcun effetto giuridico sull’attuazione dei pronunciamenti della Corte di Cassazione e della Corte di Appello di Milano concernenti l’interruzione dei trattamenti di Eluana Englaro”. E’ una interpretazione corretta?

Da un lato è corretta, ma dall’altro la sentenza non può imporre alle strutture pubbliche di compiere un atto omissivo o di sottrazione dell’alimentazione. Non c’è un contrasto diretto, ma la sentenza non può costituire un obbligo per altri soggetti o per strutture ad attivarsi per compiere gli atti necessari a che Eluana Englaro sia lasciata senza cibo e acqua. Io credo che questo atto, che legittimamente – per quanto riguarda le competenze – il Ministro ha compiuto, ha una sua efficacia e quindi se qualcuno ritiene che ci sia la lesione di un diritto o una illegittimità può rivolgersi alle sedi giudiziarie competenti. Ma l’atto, nello stato in cui si trova, è valido ed efficace.

Il sottosegretario Roccella dalle colonne di questo giornale ha sottolineato fortemente la connotazione di politica sociale del provvedimento: “Si tratta dell’idea che la vita di Eluana e delle persone che vivono nella sua stessa condizione sia una vita di “serie B”, e quindi non degna di essere vissuta. Ma questo è un concetto umanamente e socialmente inaccettabile”. Lei cosa ne pensa?

Non ci può essere una discriminazione nella dignità della vita, quale che sia il momento o le modalità nelle quali viene vissuta. E’ una linea di principio che mi pare corretta e il provvedimento è in linea con questo principio, cioè la dignità di una vita non viene giudicata dalla qualità della stessa, con cui si introdurrebbe un metro di giudizio soggettivo. Altro problema è quello della volontà di accettare o meno alcune terapie rispetto ad altre; ma questo discorso introduce il problema del consenso informato rispetto alle scelte terapeutiche che deve essere in qualche misura attuale e sulla base direi di un rapporto di dialogo con il medico. Sotto questo aspetto è una situazione complessa, ed è difficile dire della rilevanza di una dichiarazione o addirittura di un comportamento o una posizione ideale nei confronti di una posizione futura ed ipotetica che possa valere come una decisione presa sulla base di un consenso attuale ed informato. Nel caso poi della sospensione dell’idratazione e dell’alimentazione – qui introduciamo un altro elemento di carattere ancor più generale – si tratta di capire se costituiscano un atto terapeutico o siano un trattamento elementare in qualche modo comunque dovuto. 

Mi pare di capire che lei dissente rispetto ai “presupposti” su cui si basa la sentenza su Eluana…

Mi pare che sia molto “creativa” la sentenza della Cassazione. Ovviamente si tratta di problemi molto complessi nei quali la discussione è aperta e che vanno affrontati avendo presente la drammaticità di alcune situazioni e, d’altra parte, quelle che possono essere le esigenze di tutela della persona e della dignità della persona non distinguendo una vita che ha qualità e una “senza” qualità.

In molti concordano nel dire che un decreto legge avrebbe chiuso ogni discussione, ma la ricerca di una legge condivisa da approvare in parlamento sul fine vita sta allungando i tempi. Come auspica sia il comportamento della magistratura durante questo periodo di lavoro della politica?

La magistratura nei suoi tempi non è condizionata dall’andamento del percorso politico, quindi si comporta secondo quello che l’ordinamento in atto prevede. Sarebbe opportuno di fatto, e quindi anche nel comportamento di tutti, attendere quello che è una soluzione legislativa a questi problemi; ma – ripeto – anche qui non c’è alcun dovere della magistratura di attendere nel prendere le sue decisioni. Ci può essere nell’ambito di queste decisioni una diversità di orientamenti giurisprudenziali, questo non è dato a prevedere…

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