Il prossimo febbraio avrebbe compiuto 80 anni Alessio II, Aleksej nella sua lingua. Ma non c’è l’ha fatta a tagliare un traguardo che sarebbe stato l’ennesimo della sua vita. Il grande Patriarca di Mosca e della Chiesa Ortodossa Russa si è spento ieri dopo una lunga malattia che lo aveva segnato nel corpo ma non nello spirito. Fino agli ultimi giorni di vita infatti si è speso per ciò che più a cuore gli stava: l’unità dei cristiani. Salito alla nomina nel 1990, quasi a voler simboleggiare una svolta per il suo Paese, ma soprattutto per la sua Chiesa perseguitata per ben settant’anni di comunismo, Alessio II ha percorso un cammino di costruttivo dialogo con la Chiesa Cattolica. Nutriva una sincera stima per Benedetto XVI, tanto da profetizzarne il pontificato come destinato ad essere uno dei più celebri e duraturi nella memoria dei cristiani. Padre Romano Scalfi, fondatore del Centro Studi “Russia Cristiana” ne commenta il patriarcato.



Padre Romano, che cosa ha significato il patriarcato di Alessio II nella storia della Chiesa ortodossa e universale? Qual è la misura di questa perdita?

Certamente quando il capo di una Chiesa viene a morire si tratta sempre di una grave perdita per un gran numero di persone. Alessio II è stato in primo luogo un cristiano, un uomo che ha dovuto parecchio soffrire. Ha sofferto l’influenza del terribile regime sovietico e, dopo il crollo del comunismo, ha dovuto reggere la propria Chiesa in una realtà condizionata da una più sottile forma di totalitarismo, quella dei nostri giorni. Si aggiunga poi la forte connotazione che il nazionalismo, come ideologia, ha avuto negli ultimi decenni in Russia. Basti pensare che molti individui si sono convertiti al cristianesimo ortodosso non tanto per un’autentica esperienza di fede, ma per un senso della tradizione legato alla nazione.



Di fronte a tutto questo Alessio II è stato in grado di reggere le sorti della propria comunità cristiana con grandissima abilità e di mantenerne integra la sua origine più pura. Posso garantire che non si è per nulla trattato di un compito facile, ma che egli è riuscito a svolgere fino all’ultimo giorno della propria vita.

Che rapporto ebbe il Patriarca con la Chiesa Cattolica?

Anche nei nostri confronti, sebbene attraverso le problematiche cui ho accennato poc’anzi, Alessio II è stato responsabile di un periodo di particolare attenzione e benevolenza. Si pensi, ad esempio, all’accoglienza riservata all’elezione del vescovo cattolico di Mosca, Sua Eccellenza Mons. Paolo Pezzi. Ma anche il nostro lavoro culturale di “Russia Cristiana” è stato reso possibile in Russia grazie alla sua buona disposizione nei nostri riguardi.



Per fare un esempio dico solo che presso la nostra biblioteca a Mosca, la “Biblioteca dello Spirito”, è stato recentemente presentato il libro di Benedetto XVI, Gesù di Nazareth tradotto in lingua russa: alla presentazione è intervenuto in qualità di relatore niente meno che il rappresentante del Patriarca, Padre Igor. Spesso alle nostre riunioni sono poi presenti molti ecclesiastici ortodossi, che risentono del clima di nuovo riavvicinamento favorito da Alessio II

Qual era l’opinione di Alessio II nei confronti di Benedetto XVI?

La stima che Alessio II ha avuto e che i maggiorenti attuali ortodossi hanno per il Pontefice è indubbia. In primo luogo Alessio II apprezzò e riconobbe sempre l’autentico desiderio di Benedetto XVI dell’unità fra i cristiani. Ma valutò anche molto positivamente il fatto che il Papa sia così legato alla tradizione, fatto che per gli ortodossi è particolarmente rilevante. Un altro fattore di stima nei confronti di Ratzinger è la sua teologia profondamente radicata all’insegnamento dei Padri della Chiesa.

Insomma, tutto questo ha fatto sì che ci fossero condizioni oggettive e provvidenziali per cui i rapporti fra cattolici e ortodossi siano cresciuti notevolmente. Stiamo camminando insieme verso l’unità. Speriamo che si possa camminare anche dopo la sua dipartita.

A proposito di questo cammino. Crede che la morte del Patriarca possa compromettere la strada di riavvicinamento intrapresa fra le due confessioni?

No, io non credo. Su questo sono positivo. Si continuerà su una strada positiva anche perché gli intellettuali ortodossi, le persone che si sono avvicinate a noi, promettono bene in tal senso.

Questo è un momento storico in cui per i cristiani ci sono da combattere relativismo e secolarismi. Stare uniti in una battaglia comune è un bene sia per gli uni sia per gli altri. Non credo dunque che le cose cambieranno in peggio. Sia ben chiaro poi che noi lavoriamo sì sui rapporti ai vertici fra le Chiese, ma allo stesso tempo il nostro tentativo è il recupero delle persone, del popolo, al cristianesimo.

Quali sono gli aspetti più rivoluzionari, se così si possono definire, del patriarcato di Alessio II?

Per tanti anni è venuta a mancare in Russia la possibilità di fare missione. Alessio II ha puntato moltissimo quindi sulla liturgia, altro aspetto che lo rende simile a Benedetto XVI. La correttezza delle funzioni liturgiche è il primo fondamento della missione.

In secondo luogo ha lavorato moltissimo per il ritorno della fede vissuta nella quotidianità. Durante il comunismo infatti l’unico luogo in cui si potesse parlare di Cristo era fra le mura di una chiesa. Fuori non era assolutamente possibile, nel senso proprio che si rischiava di finire in carcere. Ciò ha creato una mentalità in Russia che resiste tutt’oggi. Anche quando venne proposta l’ora di religione a scuola la reazione non fu di carattere ostile quanto stupito. «Che cosa c’entra Gesù con la scuola?» era la domanda che ci si poneva di fronte a questa proposta. Un atteggiamento simile a quello dell’Europa occidentale sebbene proveniente da tutt’altra storia ideologica.

Quale fu il giudizio del Patriarca sul comunismo, una volta che poté finalmente esprimersi in merito con libertà?

Fu la giusta percezione che il comunismo era un’ideologia che distruggendo la Chiesa avrebbe inevitabilmente distrutto l’uomo, la capacità degli uomini di avere fede in qualsiasi senso ciò venga inteso. Ma la Chiesa, quella “vera” tenne duro.

Recentemente c’è stato l’episodio di un gruppo di nazionalisti i quali han deciso di convertirsi al cristianesimo ortodosso e hanno chiesto al Patriarca di inserire Stalin nel numero dei santi da venerare. A questo si aggiunge un prete che ha introdotto l’icona di Stalin nella propria chiesa. Ebbene, di fronte a simili atteggiamenti, la reazione di Alessio II non s’è fatta attendere. La condanna a un tale modo di concepire il cristianesimo è stata espressa inequivocabilmente. Non c’era e non ci sarà speranza di compromessi con il comunismo dopo il patriarcato di Alessio II.

Nei confronti delle altre chiese ortodosse come si comportò?

Uno dei suoi meriti è senz’altro quello di essere riuscito a unire la Chiesa ortodossa russa all’estero a quella nazionale. Prima di lui le due confessioni non si riconoscevano. Coi greci rimane invece un’incomprensione reciproca, ma quella con Costantinopoli è una vicenda molto più complicata e intrinsecamente legata alla storia secolare dell’ortodossia.