Il TAR della Lombardia ha sospeso le linee guida emesse dalla regione per la legge 194, quella che regola l’aborto in Italia, perché, secondo il tribunale, dovrebbe essere lo stato ad avere “la potestà di dettare la disciplina di principio in materia di tutela della salute”, e poi perché la stessa legge non lascia spazio ad interventi amministrativi.
Secondo il Tar, quindi, solo lo stato avrebbe la competenza per normare discipline riguardanti la tutela della salute, perciò le linee guida della Lombardia violerebbero addirittura l’articolo della Costituzione che stabilisce questo primato.



Strano paese l’Italia, dove in Lombardia non sarebbe conforme alla legge emettere linee guida per la 194, mentre nella confinante Emilia Romagna l’assessorato alle politiche della salute il 6 dicembre 2005 trasmetteva indisturbato ai Direttori Generali delle Aziende Sanitarie della regione tre documenti – profilo di assistenza, consenso informato, note informative – per effettuare aborti per via farmacologica. Aborti che utilizzano due farmaci, la Ru486 e il misoprostol, il primo dei quali non commercializzato in Italia, ed il secondo registrato come antiulcera, e per il quale la casa produttrice sconsiglia l’uso come abortivo perché pericoloso per la salute delle donne. Aborti effettuati con ricoveri in Day Hospital, quindi esponendo le donne che scelgono l’aborto farmacologico al rischio di abortire al di fuori dell’ospedale, in chiara violazione della legge 194.
Anche la Toscana è stata molto attiva a riguardo: sempre nel 2005, a novembre, è il consiglio regionale a dare il via libera alla pillola abortiva, permettendo alle singole Asl di utilizzare i due farmaci di cui sopra, grazie soprattutto all’assessore diessino Enrico Rossi che ha fortemente voluto inserire questa pratica abortiva nella regione.
L’aborto farmacologico si pratica poi in Puglia e nelle Marche, e anche a Trento, ma la faccenda non sembra aver disturbato nessuno, tanto che il Ministro della Salute uscente Livia Turco, così solerte alla scadenza del suo mandato ministeriale, non ha ritenuto opportuno neppure informare il Parlamento sul dettaglio degli aborti con la Ru486 nelle diverse regioni italiane.



Evidentemente alcune regioni sono più uguali delle altre, direbbe Orwell, e sarebbe interessante che qualcuno ci spiegasse perché la CGIL sia così preoccupata del rispetto delle leggi in Lombardia – tanto da presentare ricorso al Tar per linee guida regionali – e invece altrove dorma sonni tranquilli.
Nel frattempo Roberto Formigoni, governatore della Lombardia, annuncia il ricorso al Consiglio di Stato, e vedremo come andrà a finire.

E se a Milano infuria la polemica politica, a Roma Benedetto XVI continua instancabile a ricordare a tutti il magistero della Chiesa in difesa della vita nascente e della dignità di ogni essere umano. In occasione di un’udienza ai rappresentanti del Movimento per la Vita, Benedetto XVI ha condannato ancora una volta il ricorso all’aborto e le leggi che lo legalizzano, ed ha chiesto con forza di “venire incontro ai bisogni e alle difficoltà delle famiglie”, in particolare, alle istituzioni di “aiutare con ogni strumento legislativo la famiglia per facilitare la sua formazione e la sua opera educativa, nel non facile contesto sociale odierno”.



Con gli stessi toni, quando era ancora il cardinale Ratzinger, nell’Istruzione “Donum Vitae” giudicava altrettanto negativamente il ricorso alle tecniche di procreazione assistita: “Il rapporto tra fecondazione in vitro e eliminazione volontaria di embrioni umani si verifica troppo frequentemente. Ciò è significativo: con questi procedimenti, dalle finalità apparentemente opposte, la vita e la morte vengono sottomesse alle decisioni dell’uomo, che viene così a costituirsi donatore di vita e di morte su comando. Questa dinamica di violenza e di dominio può rimanere non avvertita da parte di quegli stessi che, volendola utilizzare, vi si assoggettano”.

La 194, insieme alla 40 che regola la fecondazione assistita, non sono leggi cattoliche: entrambe sono le conseguenze – non le uniche – della secolarizzazione della società, frutto di faticosi compromessi politici, più o meno accettati, più o meno subìti. Ma sono anche leggi dello stato, legittimate da due referendum che, pur diversissimi per storia ed esito, tuttavia hanno espresso la chiara volontà della maggioranza degli italiani di mantenerle in vigore.

Che almeno sia data la possibilità di applicarle pienamente.